Incontriamo una comunità Mapuche (Cile, Melipeuco, Cordigliera Andina)

 

Ci sembra di essere in un libro di Redfield, chi di voi non ha letto almeno “La profezia di Celestino”? È da qualche mese che sentiamo l’esigenza di conoscere meglio la cultura Mapuche, ovvero il popolo indigeno (popolo originario) che viveva nella Patagonia (tra Argentina e Cile) quando arrivarono i coloni europei nel 1500. Accadde all’incirca quello che oggi succede in Tibet. L’identità, la cultura e la conoscenza ancestrale del popolo originario viene annichilita e sostituita da quella dei colonizzatori. Poiché la storia viene scritta da chi vince la guerra, i Mapuche diventano selvaggi, la storia delle Americhe diventa "recente" (poiché quella insegnata a scuola parte da "quando fu scoperta") e l’Europa diventa "il vecchio mondo". Naturalmente, le Americhe già esistevano e i popoli che le abitavano avevano, e continuano ad avere, un livello di coscienza più evoluto di quello dei colonizzatori. Accade quindi che la maggior parte dei latino americani discendono dai coloni europei, acquisiscono uno stile di vita identico al nostro (impersonale, omologato e ispirato al vizio, al valore dell’apparenza e al dio denaro) e mantengono un atteggiamento razzista nei confronti dei popoli nativi che ancora oggi vivono nel paese.

 

 

La nostra opinione è che l’evoluzione dell’essere umano non si misura dall’avanzamento tecnologico ma dalla consapevolezza che ha di se stesso, della propria natura e del contesto in cui vive. Negli ultimi secoli di storia la specie umana non ha evoluto la propria coscienza ma è solo avanzata tecnologicamente. Concentrandosi in questa sfera "esterna" al proprio io ha dimenticato ancor più rapidamente la propria coscienza e l’importanza di evolvere sul piano "interno". Le memorie e la conoscenza ancestrale di popoli originari rappresentano oggi l’unica fonte possibile da cui attingere il seme dell’evoluzione della nostra specie, l’evoluzione della coscienza. Per questa ragione, trovandoci nella terra dei Mapuche, era da tanto che sognavamo un incontro con loro. Lo avevamo visualizzato così bene che l’incontro arrivò.

 

 

Attraversiamo la cordigliera Andina passando dall’Argentina al Cile per il passo Samorè. Decidiamo di entrare in Cile e iniziare a pedalare tra laghi e vulcani ai piedi della cordigliera mantenendo sempre la direzione nord. Dopo circa 1 mese di viaggio approdiamo all’ultimo paesino cileno prima di attraversare nuovamente le Ande di ritorno in Argentina. Siamo a Melipeuco, ai piedi del vulcano Llaima e qui conosciamo una persona che ci offre l’opportunità di incontrare un capo Mapuche. Abbiamo riflettuto a lungo sulla serie di coincidenze non coincidenza che ci portano all’incontro. Sulla strada tra Cunco e Melipeuco, a 15km da Melipeuco, mi sento improvvisamente debole, accuso stanchezza e un leggero mal di schiena. Decidiamo di fermarci in una traversina per mangiare qualcosa (coincidenza n.1). Melissa appoggia la bici da un lato della strada, su una staccionata che porta ad una casa (coincidenza n.2), io dal lato opposto vicino un palo. Iniziamo a mangiare dei biscotti ma non mi bastano e vado a prenderne degli altri, quando una signora sui 65 anni, uscendo dalla staccionata su cui Melissa aveva poggiato la bici, si avvicina e chiede se vogliamo entrare a bere qualcosa di caldo prima il riprendere il viaggio. Io sono un po’ titubante/diffidente, ma quando non mi sento bene è sempre così, perdo la connessione. Melissa è più propensa e la seguo. Entriamo e in 1 minuto, ci ritroviamo seduti attorno ad un tavolo nel mezzo di un pranzo a base di piñon (frutto dell’albero di Araucaria, specie nativa qui nelle Ande cilene nonché base dell’alimentazione Mapuche da secoli). Sorpresa numero 1: era da settimane che avevamo il desiderio di provare questo frutto che va fatto bollire per ben 2 ore ma l’opportunità non era ancora arrivata, eccoci serviti. Il sapore è tra la patata e il mais ma il potere nutritivo non ha pari, ricco di proteine e vitamine. La signora ci serve mate, pane e marmellata fatta in casa. Prima di andare, Melissa chiede se a Melipeuco (paesino dove pensavamo di fermarci qualche giorno prima di affrontare il passo Icalma per rientrare in Argentina) conosce qualcuno, un contatto che ci lasci mettere la tenda nel giardino di casa e così via. La signora Norma ci da il nome di Lidia proprietaria di un ristorante dicendoci che l’avremmo trovata di sicuro (coincidenza n.3).

 

Arrivati a Melipeuco chiediamo della signora, entriamo nel ristorante, la incontriamo, ma ci dice che non può aiutarci: il posto che tiene adibito a queste visite non è disponibile. Ci suggerisce di entrare nella prima stradina a sinistra e chiedere a qualcuno poiché lì non ci avrebbero negato un posto tenda in giardino (coincidenza n4). Qui tutti quelli che hanno una casa hanno almeno 1 ettaro di terra, ma non troviamo nessuno a cui chiedere, giriamo per quel dedalo di stradine sterrate per 5 minuti, poi Melissa gira a sinistra (coincidenza n5) e dopo 20 mt ci imbattiamo in una signora con un maglione giallo che sta camminando nel senso opposto al nostro. Ci fermiamo e le chiediamo se sapeva dirci di qualcuno disposto a far mettere la tenda in giardino a 2 viaggiatori in bicicletta. Lei ci pensa un po’, sulle prime diffidente vuole saperne di più. Le raccontiamo del cambio di vita, del viaggio, e del nostro interesse per i "popoli originari" in questo caso i Mapuche. Alla fine si convince e dice che lei vive a 200mt da li e avremmo potuto accampare nella sua terra. Conclude dicendo "se ci siamo imbattuti in questo modo l’uno nell’altro, un motivo ci sarà, andiamo" (coincidenza n6). Si chiama Irma, da qualche mese è tornata nel suo paesino nativo, dalla più grande Temuco in cui viveva per assistere la madre malata. Vive nella terra che suo padre ha lasciato in eredita a lei, a sua sorella e a suo fratello. La terra è di svariati ettari, arriva fino al fiume. Hanno allevamenti di bovini, pecore, galline e diversi cani. Montiamo la tenda e Irma va dalla madre, rientrerà quando noi staremo già dormendo. Nel mentre, ci viene a conoscere il fratello. Un po’ svitato, mi tiene a parlare di calcio per 3h, ha paura di perdersi persino nel suo stesso paesino. Tuttavia è estremamente gentile.

 

 

L’indomani decidiamo di restare ancora un paio di giorni, vediamo Irma e lei ci dice: "forse potreste incontrare una persona, è un capo Mapuche, è sempre circondato da gente, antropologi, sociologi che vengono dall’università di Santiago. Credo che potrebbe essere un incontro interessante". Che occasione, questo è il modo migliore per entrare in contatto con una comunità Mapuche. Bisogna fare attenzione perché naturalmente anche tra popoli originari bisogna distinguere tra chi ha mantenuto un condotta coerente con la propria identità e chi ha preferito cedere al marciume del modello consumista-capitalistico dominante. Molte sedicenti comunità indigene native si sono aperte al turismo di massa speculando e svendendo la propria storia millenaria.  Siamo al settimo cielo, così alle 4 del pomeriggio, andiamo a casa di Don José. Don José ci viene incontro, ci accoglie, ci presenta le altre persone che erano li con lui attorno al più classico degli asado che potresti immaginarti. Ha quasi 100 anni, Mapuche da secoli, la sua famiglia vive in quella terra da prima dell’arrivo dei coloni. Non gli avremmo mai dato tutti gli anni che ha, ma anche questo non è un caso. Ci raggiunge anche Francisca, antropologa che vive li con il suo ragazzo da ormai 4 anni. Lei assorbe la conoscenza ancestrale dei Mapuche e in cambio gestisce le faccende legali e amministrative di Don Josè.

 

A questo punto arriva il bello. Ovviamente avevamo già letto libri sul popolo Mapuche: credenze, valori, miti e cerimonie per sommi capi e li in quel momento avremmo voluto parlare di tutto ma ovviamente non sarebbe stato quello il modo giusto di connetterci con la coscienza ancestrale di un popolo originario. Restiamo in silenzio e Don Josè inizia a parlare. Ci dice che loro posseggono una conoscenza preziosa e hanno il desiderio di passarcela. Vivono in pace rispettando la vita degli altri esseri viventi con cui hanno la fortuna di condividere il pianeta (non solo animali ma naturalmente anche piante, montagne, alberi, astri, stelle, costellazioni etc..). Adorano la madre terra e padre cielo, venerano Antù (il sole) e Cuchèn (la luna). Prendono dalla terra solo quello che gli occorre per vivere e mai di più. Mangiano frutta e verdura genuina coltivata nella loro terra (e non contaminata e insapore come quella che troviamo nei supermercati del nostro primo mondo), mangiano carne che poche ore prima pascolava nelle loro terre (e non quella intossicata dall’adrenalina che l’animale rilascia nel suo sangue un attimo prima di essere uccisa nel mattatoio quando se ne rende conto). Ringraziano l’animale perché ha dato la vita per sfamare la gente, chiedono permesso alla terra e alle montagne prima di avventurarsi su di esse. Don Josè calibra le parole che usa con una rara lucidità di pensiero. Adesso abbiamo la certezza che queste persone esistono ancora, che sono disposte ad insegnarci la loro saggezza, il loro amore incondizionato e che è possibile restare un tempo con loro.

 

Francisca con il suo ragazzo arrivò da Don Josè 4 anni fa. Al principio restò accampata in tenda da lui per 3/4 mesi in cambio di qualche lavoro, poi Don Josè gli propose di andare a stare in una piccola casina che aveva li vicino. Adesso è come una di famiglia. Ci spiega che li vivono praticamente senza necessitare denaro. Tutto ciò che gli occorre viene dalla terra e dagli animali e quando proprio hanno bisogno di soldi vendono ciò che producono per comprare ciò che non producono. Salutiamo Don Josè certi del fatto che in un futuro vicino vivremo per qualche tempo la nostra evoluzione con una comunità nativa. Siamo convinti che è in atto un cambiamento e che la nuova umanità sarà ispirata dai valori dei popoli originari.

 

Pierluigi e Melissa

www.theevolutionarychange.com