Cosa significa per me “lavoro”

 

E Dio disse “lavorerai con il sudore della fronte”

 

Sono atea, non ho mai frequentato l’ora di religione e credo in un unico Dio: Io. Dio sono io, Dio è dentro di me. E poiché sono una cosa sola con tutto ciò che mi circonda, Dio è tutto attorno a me.

 

Mio padre è ateo di genitori atei, mia madre è cristiano cattolica non praticante.

 

Mio fratello è ateo. Sua moglie cristiano cattolica non praticante.

 

Eppure questa maledizione (e si che ci han sempre detto che Dio ci ama, e dunque, perché ad un certo punto, ci avrebbe voluto così male da maledirci?) ha permeato me e tutta la mia famiglia da generazioni.

 

Cresciamo in un contesto (famiglia, scuola, amici, colleghi, istituzioni) vittima di numerosi condizionamenti nonché dell’esercizio del "terrore" e della "punizione" (che sia inferno o cartelle esattoriali del fisco) come pratica di controllo delle masse ignoranti.

 

Inciso: ignorante non è un termine negativo come, appunto, il contesto sociale ci ha sempre fatto credere. Ignorante è colui che ignora la verità e spesso la ignora non per sua colpa, bensì per colpa del sistema stesso, che gliel’ha negata, nascosta. Di proposito.

 

Il sistema ed i condizionamenti, i giudizi, i pre-giudizi, il confronto con gli altri, il costante confronto con gli altri, hanno dapprima schiacciato i miei nonni, che per lavorare si sono dimenticati dei loro figli dandoli in pasto ad una "balia" come la moda odierna vuole; poi ha schiacciato i miei genitori che tra lavoro, mutuo e spese varie, hanno fatto del "loro meglio" per stare vicino a me e mio fratello.

 

Domanda provocatoria: avete mai chiesto ai vostri figli una loro versione di "mio meglio?". O ancora meglio, avete mai chiesto a voi stessi, se vi pensate come figli e non come genitori, una vostra versione di "mio meglio?". Difficile eh? Sapete davvero cos’è importante per i vostri figli o, come spesso fanno i genitori, vi assumete la responsabilità di pensare "so io cos’è importante per te? Non voglio che tu commetta i miei stessi errori…". Nessun genitore lo fa con cattiveria; è il senso di protezione che lo guida ma che purtroppo fa in modo che non si renda conto che il figlio non è un suo prolungamento, non è nemmeno una sua proprietà. Un figlio è un prestito. Un prestito che la vita fa a tutti i genitori per potergli dare la possibilità di sperimentare il miracolo della creazione e di impegnarsi con responsabilità nel duro lavoro del crescere un esserino innocente in questo mondo, seppur difficile. Un’opportunità di crescita quella che hanno i genitori, non un diritto.

 

 

Chiudendo con la provocazione e riprendendo da sopra, infine ha schiacciato me, per fortuna solo fino a pochi anni fa. Il senso del dovere e della responsabilità che ci viene inculcato sin da piccoli con l’andare a scuola e conseguire i migliori risultati è a dir poco perverso perché completamente disconnesso dalla nostra vera natura, dal nostro vero Io. Innanzitutto mi chiedo, "quali sono i migliori risultati?" Qual’è il parametro dell’essere migliori in questo mondo? E chi lo ha definito? Sono domande importanti, fondamentali, perché coloro che hanno dato una definizione di "migliore" sono gli stessi che oggi governano il mondo, che ci tengono al giogo facendoci fare un lavoro importante dal loro punto di vista, qualunque dal nostro, un lavoro anni luce lontano dalle nostre passioni, dalla nostra vera essenza, dalla nostra vera natura, al solo scopo di essere migliori. E dove migliori acquista il significato di: più efficienti, più ricchi, con più possibilità economiche e dunque più circondati da beni materiali. Che dunque migliore non voglia proprio dire con più soldi?!

 

Cosa cambierebbe se, sin da piccoli ci venisse insegnato come connetterci con lo spazio sacro del nostro cuore, come ascoltare le nostre emozioni/sensazioni senza reprimerle con vergogna perché etichettate come differenti se non addirittura perdenti? Chi di noi non avrebbe voluto fare il musicista, un esempio per dire l’artista, o studiare materie umanistiche anziché scientifiche, ma ha cambiato idea al commento "non guadagnerai abbastanza o ti ridurrai a fare l’insegnante in una scuola pubblica? O peggio finirai per fare la cassiera in un supermercato perché non troverai mai lavoro?".

 

Dobbiamo liberarci dal "dovere" di compiere un lavoro funzionale al guadagno e al parametro di "migliore". Nessuno di noi è migliore di un altro, qualsiasi sia il lavoro che decide di fare nella vita. Ognuno di noi è unico, non migliore, è speciale, non superiore. Ognuno di noi dovrebbe dunque lavorare in funzione di ciò che gli dice il proprio cuore. Allora saremmo tutti migliori, tutti parteciperemmo alla costruzione di un mondo basato sulla collaborazione e non sulla competizione, sull’asettico guadagno. E non ci ammaleremmo più del male del secolo, il male dell’anima, la depressione, la solitudine, il malessere psico-fisico, le dipendenze! Le dipendenze. Dipendiamo da tutto: fumo, alcol, droga, abiti, scarpe, borse, shopping, medicine, sesso, alimenti. Alimenti si, che follia.

 

E come si può fare allora? Innanzitutto smettendo di avere paura e smettendo di farci intimidire da un sistema che ci inculca, sin dalla nascita, che non siamo nessuno, siamo incapaci, siamo tapini e siamo qui per lavorare con il sudore della fronte (ah, alle donne, tanto per tenerle ancor più nell’ignoranza e nel senso di inferiorità, gli hanno pure aggiunto "partorirete con dolore". Non è un caso che a parità di ruoli aziendali, di incarichi e di responsabilità, le donne vengano pagate fino al 30% meno degli uomini, pur se ritenute più attente, precise e responsabili).

 

È fondamentale cambiare il paradigma in cui viviamo, ovvero la versione della realtà dei fatti: noi siamo tutto, siamo unici, siamo divini e in quanto proiezione del divino, possiamo tutto. Noi generiamo la nostra realtà, siamo dei maghi. "Abracadabra, vuol dire genero la mia realtà" e tutti siamo in grado di farlo, ma ce lo hanno sempre tenuto nascosto. Non dobbiamo aver paura, nessuno di noi morirà di fame se smetterà di fare il lavoro che sta facendo, a meno che non sia il lavoro/passione più vero che gli sia giunto dal profondo del proprio cuore. Semplicemente cambieranno i nostri parametri: non lavoreremo per il mutuo, l’auto o la seconda casa al mare o in montagna, ma lavoreremo per noi, per il nostro cuore, per ringraziare questo disegno perfetto di cui siamo parte, la vita. Lavoreremo così per il benessere dell’umanità intera, per costruire un mondo diverso da quello odierno. Perché lavorando per noi, dimostreremo di amarci profondamente e solo amandoci, faremo spazio nel nostro cuore, per amare anche gli altri. La nostra prospettiva di vita, anzi di esistenza, cambierà radicalmente!

 

 

"Chi lavora con le sue mani è un lavoratore.

 

Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano.

 

Chi lavora con le sue mani e la sua testa ed il suo cuore è un artista."

 

San Francesco d’Assisi

 

È tutto sbagliato. Il nostro sistema è sbagliato. Persino il punto di partenza dell’andare a scuola per essere i migliori è sbagliato. Andare a scuola, istruirsi è fondamentale! È un diritto di tutti i bambini del mondo e purtroppo è un diritto non ancora garantito a tutti i bambini del mondo. Ma è errato il metodo di insegnamento delle scuole, stabilito dai governi (errato ma funzionale a far sì che le masse possano accedere ad un certo livello di istruzione, ma non oltre, in modo di tenerle nell’ignoranza e poterle così controllare). Le scuole ci insegnano in modo funzionale, ovvero funzionale alla superamento degli esami: l’esame di 5a elementare, delle medie, la maturità, gli esami dell’università, la tesi. Tutto è in funzione dell’avere/possedere/ostentare un titolo di studio. È smarcare un tick, assolvere ad un compito. Proprio come al lavoro. E proprio come l’intera istituzione del concetto di "crescita economica".

 

Lo stato e dunque le scuole, gli insegnanti stessi, dovrebbero insegnare in modo diverso; possono insegnare le materie che ci insegnano (anche se io personalmente ne inserirei altre, prendendo esempio da ciò che insegnano i popoli originari/indigeni, alle loro collettività) ma devono insegnarcele con spirito critico; devono trasmetterci una capacità di valutazione e permetterci di giudicare gli eventi in modo più profondo, devono insegnarci ad essere in grado di valutare la realtà delle cose che ci circondano, senza condizionamenti, in modo oggettivo, ovvero senza essere condizionati dal fatto che dobbiamo superare un esame o senza quel titolo, la società ci vedrà come degli inutili.

 

Notalascio per ora da parte il delicato argomento delle informazioni che ci vengono passate a scuola, ricordando a tutti che la "storia la scrivono sempre e solo i vincitori mai i vinti". Chissà se, per avere una visione più oggettiva dei fatti, purtroppo sempre nel limite dell’inclinazione umana a darne una rappresentazione soggettiva, non sarebbe utile conoscere anche la versione dei vinti. A mio parere si. Ne ho scoperte di bugie che mi hanno raccontato a scuola o che i media raccontano quotidianamente. Falsità. Falsità create appositamente per sostenere un sistema definito "migliore", ma altrettanto falso, effimero e superficiale, e che, se tutti sapessero la vera verità, non starebbe più in piedi.

 

 

Ho frequentato un tecnico per il turismo perché mia mamma mi aveva convinta che le lingue erano fondamentali per il futuro e perché io potessi girare il mondo. E poi ho fatto economia perché alle superiori conobbi una professoressa molto in gamba che mi convinse delle mie capacità e che mi fece vedere le possibilità che mi si sarebbero aperte lavorando con e per quella che io oggi definisco la "scienza grigia", una scienza con cui non si produce niente di reale, né per se stessi né per il mondo che ci circonda. Una scienza che contribuisce ogni giorno alla distruzione di risorse umane e territoriali in nome della diseguaglianza, in nome del dominio di pochi su molti. Una scienza che è fautrice della distruzione del benessere sociale che ci caratterizzava una volta come esseri umani, una scienza che ci ha fatto regredire allo stato di animali, bestie.

 

Non sto dicendo che ho fatto male a studiare economia, anzi, penso che, per ciò che la mia anima è chiamata a fare su questa terra in questa vita, era la mia scelta migliore, l’unica che potessi fare. È stato sbagliato il modo in cui l’ho usata finora.

 

Economia è la scienza che studia la gestione delle risorse scarse per soddisfare i bisogni individuali ecollettivi contenendo al minimo i costi. Vi pare che il sistema economico abbia fatto questo o stia facendo questo? No, affatto. Il sistema economico in atto, così come ce lo hanno venduto è un sistema che distrugge le risorse scarse (acqua, aria, foreste, biodiversità ecc.) per soddisfare i bisogni di pochi (i cosiddetti "migliori"), massacrando i molti, contenendo i costi, ma esclusivamente i costi dei soliti pochi in cima alla piramide di potere, ed incrementando in modo irreversibile i costi che il pianeta, la nostra casa, l’unico posto in cui siamo in grado di vivere e realizzarci, sta sostenendo. In nome di cosa? Dell’essere migliori, primi, ricchi e dell’assolvere a tutti i nostri desideri.

 

Ecco, quando studiavo, quando mi laureavo, mica ce l’avevo chiara questa cosa qua. Ho lavorato 12 anni per le più grandi multinazionali del pianeta; è lì che ho capito. Non le ringrazierò mai abbastanza per la lezione che mi hanno dato. Sono proprio loro, le multinazionali che mi hanno permesso di svegliarmi e cambiare direzione, rotta. E perché prima non capivo? Perché il modo in cui ho studiato e lavorato è sempre stato funzionale al titolo ed ai soldi. Eddai quanti di voi si sono detti, o dicono ai propri figli, "studio economia (o giurisprudenza o altro ancora) perché così poi farò carriera in una multinazionale o in una banca, da un notaio, come avvocato". Quanti di voi concepiscono questi attori sociali come i pochi e vincenti del nostro sistema?

 

Ora ripenso a mia mamma, a quando mi invitò a fare un tecnico per il turismo dicendomi che le lingue mi sarebbero state utili e che avrei girato il mondo. C’ha azzeccato in pieno: parlo 4 lingue e me la comando; non solo, me lo giro pure il mondo, da anni. Anche se non c’ho il becco di un quattrino a differenza di quanti di voi pensino che ho vinto alla lotteria. Chissà perché però, ho come la sensazione che il contesto sociale mi giudicava "migliore" quando il mondo lo giravo su un’aereo in prima classe con il mio bel biglietto da visita con su scritto "… manager". Biglietto da visita uguale titolo, condizionamento. Che fortunata che sono, ora si che sono veramente libera: libera da titoli e condizionamenti.

 

Prima, per la società, il sistema, le istituzioni, ero una in gamba, che lavorava, guadagnava, spendeva, ostentava (si è proprio questa la sequenza in cui ci fanno vivere, ci imprigionano: lavoro, guadagno, pago, pretendo). Ora sono una dalle mille definizioni: hippie, sbandata, matta, una che non ha voglia di fare niente nella vita, un’irresponsabile, una che non ha voglia di crescere, una Peter Pan, una squattrinata, una fannullona, persino una terrorista per ciò che dico. Quanti colori, mamma mia 🙂 Recentemente mi hanno dato della fannullona, si. E sempre recentemente una ritrovata amica (?) mi ha detto che "non ha senso vivere una vita intera senza fare niente", senza nemmeno chiedermi cosa faccio nella vita. Quante etichette inutili. Quante costruzioni mentali. E chi ha detto che non faccio niente? Vivere è molto di più che sopravvivere. Il fatto che io non "viaggi più in prima" non vuol dire che "non faccio niente" vuol dire invece che ho smesso di fare l’inutile e ho cominciato a fare il veramente utile. Per me e per gli altri.

 

È solo il parametro di vita, il paradigma che definisce la mia verità e che io ho adottato che è diverso: c’è chi vive nel fare e nell’avere, io nell’essere.

 

Quanti condizionamenti; sono loro le nostre catene, il nostro sudore e dolore. Distruggiamo i condizionamenti e allora saremo davvero liberi.

 

 

Il sistema, le istituzioni, quelli come me non li sopporta, perché hanno aperto gli occhi e nel loro piccolo aiutano gli altri ad aprirli. Quelli come me li etichetta; ed etichettandoli trasmette alla massa il concetto di pericolosi, non convenzionali, anarchici, da allontanare. Ma, attenzione, che sempre e solo di etichette si tratta. È come parlare di comunisti mangia bambini. Io non sono né hippie, né peace and love, né drogata, né matta, né fannullona, né anarchica, né terrorista, niente di tutto questo. Sono solo io, Melissa, una particella di dio sulla terra che ha camminato tanto dentro un sistema finto per conoscerlo e che ora che lo conosce ne ha preso le distanza. Io sono una persona fortunata. Sono grata alla vita e al pianeta perfetto in cui vivo. Vivo in pace e in armonia con tutti gli altri esseri viventi. Per le istituzioni sono un’irresponsabile; per me stessa sono estremamente responsabile, per molti un egoista, per tanti pero un altruista: io lavoro per l’evoluzione della razza umana, del pianeta e dell’universo intero. "Sono il cambiamento che voglio vedere nel mondo"Sono il "cambio evolutivo".

 

Potete sperimentarlo anche voi. Allora si che sarete liberi e non falsamente inseriti in un contesto che dicono "democratico" ma dove in realtà tutti controllano tutti. E dove il primo metodo di controllo è il lavoro forzato. Forzare al lavoro per forzare al consumismo.

 

Povero non é chi possiede poco, ma chi desidera infinitamente molto

Pepe Mujica – Presidente Uruguayo 2012

 

Attenzione che demos vuol dire "potere al popolo". Ce l’avete davvero quel potere di sentirvi liberi di decidere, decidere in ogni istante della vostra vita o piuttosto vi sentite in una dittatura? Senza uso di armi, chiaro. Ma a mio avviso, puzza, puzza tanto di dittatura. Buona fortuna.

 

Guarda la Videintervista di Melissa e Pierluigi su Destini Oltreconfine

 

Melissa e Pierluigi

In Lak’ech – Tu sei un altro Me

www.theevolutionarychange.com

 

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