Donato, da otto anni a El Hierro

 

Donato: un normalissimo impiegato di un’impresa privata, con molti sogni di libertà. Approdato sull’isola di El Hierro otto anni fa a causa di forze naturali, si è innamorato di questo posto paradisiaco, con i suoi paesaggi unici e selvaggi, con il suo mare “puro, arrabbiato, potente, blu scuro nei versanti esposti; calmissimo, azzurro e ricco di vita, nel sottovento”. Un’isola che ami o che odi; che ti chiama o ti respinge. Un’isola in cui vivere una vita semplice, senza lussi e priva di eccessi. Un’isola che ha regalato a Donato il dono della pazienza e della condivisione, ma soprattutto un’isola che gli ha insegnato a pensare.

 

Donato ci racconti qualcosa sul percorso che ti ha portato a vivere a El Hierro?

 

Sinceramente non saprei spiegare il motivo per cui ho deciso di vivere in quest’isola. Approdai a La Restinga con la sola intenzione di fermarmi solamente alcuni giorni e ancora oggi, dopo otto anni, ho la convinzione che da un giorno all’altro me ne andrò!

 

Giunsi mentre navigavo solitario con la mia barca a vela, avevo stabilito la rotta per i Caraibi. A un certo punto, il viaggio si rivelò un po’ più avventuroso del previsto, per via di qualche “temporalino” incontrato fra Barcellona e Lanzarote. Forse l’isola mi stava chiamando, poiché a bordo successero cose alquanto strane, come un improvviso black out dell’elettricità; per poco non entrai in collisione con un mercantile; si ruppe perfino un pezzo del pilota automatico. Mi trovai in una situazione critica a circa 150 miglia di distanza dalla costa. Studiando attentamente le carte nautiche vidi che la terraferma più vicina era un’isoletta triangolare, che si trovava in basso e spostata verso destra nell’arcipelago Canario. Mi parve il posto ideale dove riparare la barca, fare un sonnellino e poi riprendere il viaggio. Il dubbio era che non avesse un porto in cui attraccare; invece il porto c’era e ora eccomi qua!

 

Nella tua lettera di presentazione ti definisci un vagabondo. Perché?

 

Mi definisco e considero vagabondo perché è ciò che aspiro ad essere. Mi piace viaggiare e non mi piace appartenere ad un unico posto. Certamente tengo dentro le mie origini, parte della mia cultura, ma anche la sufficiente apertura mentale per apprezzare nuove esperienze. Prima di dedicarmi alla navigazione ho viaggiato moltissimo con il mio zaino sulle spalle, completando un paio di volte il giro del mondo. Ero curioso di conoscere tutto ciò che era possibile. Più tardi valutai che con una barca a vela, avrei potuto continuare a viaggiare di più, portandomi appresso uno zaino più grande.

 

In Italia di cosa ti occupavi?

 

Ero un normalissimo impiegato di un’impresa privata, però con molti, molti sogni di libertà.

 

Perché poi hai deciso di “mollare l’ancora e partire”? E’ stata un’opportunità che ti si è presentata o è stata una tua scelta?

 

Veramente non è mai stato un progetto calcolato e pensato a tavolino, tutto è nato per caso. Se lo avessi pensato forse non lo avrei mai fatto, poiché, anche se mi piace il rischio, mi ritengo sufficientemente responsabile e un poco calcolatore, non so se sarei stato capace di prendere una decisione così “pazza” e senza conoscerne le tappe. All’epoca, una nuova impresa mi aveva offerto un contratto di lavoro migliore. Prima di decidere di accettare decisi di prendermi quattro mesi di vacanza, considerato che non ero mai riuscito a fare uno “stop” più lungo delle tre settimane estive. Durante questi mesi, completai quasi per intero il mio primo giro del mondo, riservandomi qualche giorno nell’isola di Holbox in Messico. Qui si aprì in me un nuovo modo di pensare! Sdraiato sull’amaca, davanti ad una spiaggia da sogno, sotto le palme con la noce di cocco e la cannuccia in mano, chiamai Paolo, il mio nuovo capo e gli dissi che probabilmente avrei ritardato “un paio” di mesi prima d’insediarmi definitivamente nel mio nuovo ufficio. Ancora oggi mi viene da sorridere ripensando alla sua risposta, comprensiva ma con una punta d’invidia. Per farla breve, completai il viaggio e rientrai in Europa, arrivando in Spagna. Fu lì che si accentuò la mia passione e la conoscenza della vela, intuii che questo avrebbe potuto darmi da vivere. Con quest’intento lavorai un paio d’anni a Barcellona come skipper, fintanto che decisi di comprarmi la mia barchetta. Anche Paolo era stato avvisato della mia nuova professione, la quale si era completata con il conseguimento di titoli e patenti necessarie. Da allora sono susseguiti molti viaggi via mare, tra cui la decisione di intraprendere l’attraversata Atlantica.

 

 

Poi, improvvisamente, l’isola di El Hierro è entrata a far parte della tua vita. Cosa ti ha trattenuto sull’isola?

 

Mi hanno sempre attratto i posti dove non c’è troppa gente, dove la natura circostante è vincente rispetto all’urbanizzazione e dove posso sentirmi un poco Robinson Crusoe. Oltre a questo, l’amabilità della gente dell’isola, lo spirito di accoglienza e la sensazione di non essere “troppo” straniero, mi hanno indotto poco a poco ad innamorarmi di El Hierro.

 

Qual è stato il tuo primo ricordo all’arrivo?

 

Ricordo la vista del molo grande e grigio, la scorta dei delfini e la mia preoccupazione, perché nessuno rispondeva alla chiamata via radio che si effettua prima di entrare in qualsiasi porto. Temevo che addirittura non vi fosse un porto! Mi rinfrancai quando intravidi un mastile spuntare sopra il molo: se c’era posto per uno, probabilmente ne potevano stare anche due. Rammento la totale mancanza di pontili e una trentina di barchette da pesca alla fonda davanti al paesetto. La manovra di attracco fatta da solo, mentre Juanito Moreno mi guardava con le braccia conserte, come se stesse aspettando il disastro che sarebbe potuto succedere da un momento all’altro. Dopo la faticaccia che feci per assicurare la barca, si avvicinò e parlandomi con uno spagnolo per neonati e turisti mi disse: “Aqui no bueno, allì mejor!!”. Mi preoccupai molto, convinto d’essere capitato fra lupi e selvaggi. Dopo la doverosa risistemazione della barca, andai a prendere il mio caffè di rito. Da quel momento ero diventato la nuova attrazione degli abitanti di La Restinga! Ero quello che aveva un computer e l’unico che quando era entrato, aveva chiamato per radio!

 

Da quanto tempo ci vivi?

 

Da allora, sono passati otto anni e mi sembra che siano otto mesi.

 

Di cosa ti occupi?

 

A El Hierro ti devi “arrangiare” un po’in tutto, ufficialmente mi occupo di escursioni in barca a vela. A suo tempo ho avuto sufficiente coraggio per iscrivermi alla categoria e ora sono l’unico nell’intera isola che legalmente si dedica a quest’attività. Sono doppiamente fortunato, perché qui scarseggiano i marinai con mentalità imprenditoriale, pertanto non ho nessuna concorrenza. Va anche considerato che a El Hierro i mezzi e le strutture sono quello che sono: poche e molto “rustiche”.

 

Cosa puoi raccontarci del posto?

 

Come si può descrivere il paradiso? Come si può parlare di un posto che dà la giusta dose di civiltà e, nello stesso tempo, ti fa sentire una specie di Cristoforo Colombo? Qui non ci sono i centri commerciali, neppure cinema, discoteche, mancano le grandi spiagge di sabbia. Nonostante questo, il luogo si esprime attraverso una vastissima gamma di colori, tonalità, sfumature. Il paesaggio è unico e selvaggio, la popolazione è incredibilmente affabile e cordiale. L’isola è piccola e prevalentemente vulcanica, passa dalla roccia grezza, rossa e scabra, al verde intenso della foresta tropicale. In una ventina di chilometri riesci a vedere il ciclo della vita completo: ieri è scoppiato un vulcano, poi sono cresciuti dei cespugli e qualche cactus che si sono trasformati in prati verdi. Lentamente sono stati colonizzati dal Pino che un po’ alla volta è diventato un folto bosco incantato, dove la fantasia di chi sa sognare incontra le Fate tra i muschi e le felci! Viaggiando in macchina per percorrere i 35 Km che separano le cittadine La Restinga e Valverde, dopo le ore 21 non incroci nessuno, solamente lepri e pernici. Il mare non ha bisogno di tante descrizioni, si tratta dell’Oceano Atlantico, puro, arrabbiato, potente, blu scuro nei versanti esposti; calmissimo, azzurro e ricco di vita, nel sottovento.

 

Nel suo piccolo, quest’ isola possiede vari record: un cielo tra i più puliti e limpidi del mondo; i fondali tra i più ricchi di vita d’Europa; anticamente era l’ultima terra conosciuta e da questo luogo si è scoperto che, proseguendo verso Ovest, non si cadeva nel vuoto ma si arrivava in America; è l’estremo confine europeo. Tra le meraviglie, si può aggiungere che in questo momento, a pochi chilometri dal paese, è in piena attività un vulcano sottomarino. Facciamo notizia, giornali, televisioni e documentaristi, arrivano attratti dalle decine di piccoli terremoti o tremori giornalieri causati dal fenomeno naturale. Quante sono le persone che possono vantarsi di vivere alla fine del mondo e dormire sopra un vulcano attivo?

 

 

Quali sono gli angoli dell’isola che ami in particolar modo?

 

Difficile fare una selezione, però, senza soffermarmi troppo nei dettagli, posso elencare tre posti che amo in modo particolare:

 

El Tacorón, per il mare e la grotta del Diavolo.

 

El Verodal, per la sensazione che infonde percorrendo la sinuosa stradina asfaltata che lo attraversa, i 700 coni vulcanici sembrano dire che l’isola è nata ieri.

 

La parte più alta, a 1.500 metri, il mio “mirador” privato al lato dell’osservatorio astronomico, con il prato che finisce sul precipizio e che offre una vista panoramica impressionante di tutto il “golfo” di Frontera.

 

Passiamo al lato pratico: come si vive a El Hierro?

 

Per me si vive benissimo. Non è necessario vestirsi con roba firmata, si gira tutto l’anno in ciabatte, poiché a La Restinga è perennemente estate, senza esagerazione sia nel caldo che nel fresco. Le case hanno le chiavi nella toppa e non c’è nessun pericolo di sgradite sorprese: mi ricorda i racconti che ho sentito sulla vita nei nostri paesetti di 40-50 anni fa. Ci conosciamo tutti e tutti ci salutiamo quando ci incrociamo. Anche l’autostop è normale, sia per noi “stranieri” che per la vecchietta Pilar che deve andare al Pinar a fare la spesa. Vita semplice, senza lussi e priva di eccessi. Sconsigliata a chi vuole il tutto incluso! Ovviamente vivere qui ha anche i suoi svantaggi, correlati però ai vantaggi: “Paese piccolo inferno grande!” Ci conosciamo tutti, però non tutti ci amiamo; mancano i centri commerciali, perciò se desideri qualche prodotto di lusso, come la mozzarella italiana o il caffè napoletano, te lo puoi dimenticare! Non fanno i cappuccini con la schiuma, però trovi il caffè con il latte concentrato!

 

Secondo il mio parere, il “contro” più grave sta nella gestione dei trasporti e dei collegamenti fra le isole: mal gestita e carissima!

 

Cosa offre professionalmente?

 

Sinceramente molto poco. E’ un posto dove si può vivere con poco denaro, però oggi è molto difficile per le condizioni di crisi sociali, economiche o politiche che siano. Le persone sono amabili e gentili, ma quando è ora d’intascare pagano malissimo e non sono poi così aperte alle nuove idee come si vorrebbe. Quando si decide di vivere qui, non si deve pretendere che siano loro a cambiare, sei tu che ti devi adattare.

 

E sulla qualità della vita cosa puoi dirci?

 

Tutto è relativo, dipende da cosa s’intende per “qualità”! Se sei alla ricerca di un posto tranquillo, privo di eccessi o troppe comodità, poco abitato e con poche case, senza grossi centri commerciali, con i menù che ricordano la cucina venezuelana, però con dei tramonti mozzafiato…beh….allora direi che è alta! Se invece desideri andare al cinema, vivere in un Hotel con piscina, se ti piace passeggiare sul lungomare guardando i negozietti di prodotti “tipici”, sostando ogni tanto per bere la granatina, allora credo proprio che questo sia un posto da evitare.

 

Come si svolge una tua giornata?

 

Molto tranquilla, inizia sempre con il rituale del caffè seduto al bar de “la cina” (lei non è cinese, bensì filippina, ma per la gente del posto non c’è differenza, sempre da quelle parti si trova!). Al tavolino siamo i soliti: Tolivio, el Mora, Felipe e altri che sia! Commentiamo i rari nuovi arrivati che passeggiano curiosi ed è proprio a questo punto che si ingarbugliano le cose. Posso scegliere di aiutare don Juan a trasportare un frigorifero o Domingo a costruire un muro oppure abbordare la coppietta di turno, conquistata dalla bellezza selvaggia di El Hierro, per organizzare un’escursione in barca a vela. La sera si può concludere la giornata a casa di don Juan per la grigliata o al bar con Domingo per il cubatta o la cerveza oppure nella terrazza, seduto al tavolino di qualche turista, a mangiare pesce fresco pescato in giornata, raccontando fatti e bellezze dell’isola.

 

 

Se dovessi dare un voto all’isola, da 1 a 10 quale sarebbe e perché?

 

Senza alcun dubbio un 10! Dovrebbero esserci molti posti come questo, che permettano alla gente comune di vivere tranquillamente, invece El Hierro è rimasto, se non l’ultimo, uno dei pochissimi paradisi europei.

 

Vivere a El Hierro in cosa ti ha cambiato?

 

El Hierro mi ha dato il dono della pazienza, mi ha insegnato a sapermi adattare, a condividere con gli altri, a fare un’infinità di nuovi lavori, come pescare, costruire pareti e sporcarmi le mani, ma soprattutto mi ha insegnato a pensare. Come dicono qui: “Fai le cose senza correre, però senza fermarti”.

 

Ci racconti qualche aneddoto o qualche episodio significativo della tua vita sull’isola?

 

La scelta è alquanto difficile! Il fatto stesso di vivere qui e in questo modo, è un fatto significativo. Molto importante per me è il privilegio concessomi dalla vita, di partecipare direttamente a un evento naturale tanto grande come la nascita e la formazione di un vulcano. Abbiamo seguito, vissuto e studiato, il recente vulcano che si sta facendo sentire a un chilometro dal paese. Il suo primo annuncio sono state le centinaia di piccole scosse giornaliere, seguite poi dalla potenza della lava eruttata, che saliva da oltre ottocento metri di profondità. Spettacolo spaventoso ed affascinante, che ha fatto emozionare tutti i presenti. Vivere in prima persona quest’evento, provare personalmente la potenza della Natura che si esprime con tale forza, trovarmi tra la gente intimorita, chiaramente lascia dentro una traccia indelebile di emozioni. Anche fare una gita in barca e vedere il fumo uscire dal mare, raccogliere dall’acqua pietre fumeggianti che galleggiano, consapevole di tenere in mano terra appena nata; oppure fare il bagno e sentire nello stomaco le vibrazioni del fiume di lava che sta uscendo sotto di te… Che cosa posso dirvi di più, se non che è stata una grande esperienza, indescrivibile con le parole. Lo stiamo vivendo tuttora ed è molto emozionante: adesso il vulcano si trova a 88 metri di profondità, ci sta parlando con un centinaio di vibrazioni giornaliere, però senza lava. Stiamo vivendo aspettando nuovi sviluppi, con il desiderio di condividerli. Certamente con fare umano, pervasi di timore, di curiosità e di incertezza, davanti a questa grandezza.

 

Una conclusione sulla tua esperienza a El Hierro:

 

Ancora non è maturato il desiderio di concluderlo, rimane forte il desiderio di condividerlo. Mi stimola il pensiero di far conoscere quest’isola, perché lo merita, mi piacerebbe che venissero ad abitarci altre persone, per condividere la bellezza del luogo e per re-incontrarsi qui. Non temo le disastrose conseguenze che porterebbe una sovrappopolazione o il turismo di massa, poiché l’isola di per sé, è molto selettiva. Lo senti al primo impatto: o la ami o la odi; o ti chiama o ti respinge! In questa maniera non diventiamo numerosi: pochi ma buoni!

 

e-mail: es**********@ho*****.com

 

 

A cura di Nicole Cascione