Lucia, dopo una vita al comando di barche a vela, la pace di una baita in montagna

 

A chi non piacerebbe vivere una vita avventurosa alla Robinson Crusoe? Comandare barche a vela, vivere in mare per mesi, navigare a vele spiegate, verniciare, impiombare cavi in acciaio, cucire le vele, riparare la vetroresina…e se a fare tutto questo fosse una donna? Strano, ma vero. Lucia Pozzo per 30 anni ha comandato barche a vela, districandosi egregiamente in un mondo riservato quasi esclusivamente agli uomini. Ha vissuto esperienze gratificanti, ha viaggiato tantissimo, ha comandato barche prestigiose e ha vinto gare e regate, fino a quando ha deciso di voltare pagina, andando a vivere in una baita in cima alle Alpi, insieme alla sua famiglia.

 

 

Lucia, per 30 anni sei stata comandante di barche a vela, ma raccontaci come ha avuto inizio la tua vita in mare…

Questa domanda me la fanno tutti, visto che sono piemontese e che da bambina i miei genitori mi portavano a sciare, a scalare montagne, a fare campeggio e trekking, ma di andare al mare neanche a parlarne! Però ho sempre sognato una vita avventurosa. Ai miei tempi, classe 1961, la sera c’era Carosello; una pubblicità di un dentifricio era ambientata su di un veliero a vela, forse una barca d’epoca. Un gruppo di giovani si lanciavano secchiate di acqua fresca, navigando tra isole caraibiche a vele spiegate. Pensavo che andare in giro in barca potesse essere veramente avventuroso. Ma dalla pubblicità ai miei primi viaggi per mare sono passati ben dieci anni! E naturalmente mi sono avvicinata al mare iniziando sulle barchette piccole, le derive sportive. Amavo particolarmente le giornate con vento forte e cielo limpido, mi divertivo un sacco a prendere gli spruzzi in faccia e a restare tutta bagnata dopo essere stata investita da un’onda. Ancora adesso, in città o in montagna, quando c’è vento forte è come se mi si risvegliassero i sensi, annuso l’aria e mi piace farmi sferzare il viso dalla forza del vento o dalla tormenta. Forse è per questo che, anche se quando sono vestita in modo elegante, non uso mai l’ombrello! A diciotto anni ho preso prima i brevetti per condurre le imbarcazioni, che la patente per l’automobile. Del resto sulla terra ferma potevo girare in autobus o in treno e l’auto era superflua, ma per mare, se non vuoi fare la cuoca o il marinaio di bordo, devi essere in possesso di titoli professionali. Ed io, volevo fare lo skipper, insomma, il comandante! Visto che non avevo frequentato un istituto nautico perché vivevo a Torino e mi ero appena iscritta ad architettura navale, i vari brevetti nautici sono stata costretta a prenderli privatamente e all’estero. Così, quando mi sono presentata sulla banchina di un porto turistico per cercarmi un imbarco, avevo diciannove anni e ne dimostravo sedici, ho subito puntato direttamente al comando di una barca a vela. Le barche d’epoca, in legno, sono sempre state le mie preferite per lavorare; vive, ricche di storia, complicate con ogni soluzione tecnica da reinventare. Però ho l’animo competitivo e per fare carriera e farmi conoscere sui campi di regata, mi sono lanciata nelle sfide con barche ultra moderne e tecnologiche. E così è nata l’idea di mettere insieme il primo equipaggio italiano di tutte donne: il mitico “Delfino Rosa”. Non si trattava di una gran barca; lunga appena undici metri, ci era stata prestata da un cantiere perché era uscita dagli stampi fallata e asimmetrica, insomma invendibile. Agli inizi degli anni Ottanta, nessuno avrebbe scommesso su di un equipaggio di sole donne. Le donne stesse, quelle con esperienza di regate, ci stavano alla larga perché avevano paura di fare brutte figure. Molti giornalisti insinuavano sulla carta stampata, che non ci piacessero gli uomini e che avessimo altre tendenze! Quindi anche gli sponsor avevano paura a darci un sostegno. La nautica era riservata agli uomini. Abbiamo subito iniziato a vincere delle regate importanti, addirittura una regata riservata a soli due membri di equipaggio. Allora la situazione è cambiata; la stampa, gli sponsor, le regatanti e i fornitori tecnici hanno iniziato a farci la corte, a farci offerte interessanti. E io ho iniziato seriamente a pensare che fare lo skipper o il comandante di barche potesse diventare veramente una carriera lavorativa remunerativa. Non bisogna però confondere le varie figure di bordo. La regata è divertente, impegnativa, ma a volte dura solo di giorno e la sera si ritorna in porto e in albergo. Comunque è fine a se stessa, ti serve per conoscere il limite dell’equipaggio e della barca che stai timonando, e per far sapere al mondo quanto sei bravo a far correre la vela, quindi a farti conoscere. Sicuramente come donna comandante, ho avuto, grazie all’equipaggio di tutte donne e ai palma res, molta notorietà e prestigio. Però fare il comandante vero e proprio di una barca è tutta un’altra cosa; vivi a bordo, amministri le spese, assumi l’equipaggio, decidi i lavori specialistici da eseguire in cantiere o magari, come ho fatto io sulle barche d’epoca in legno, ti occupi anche del restauro e della ricostruzione statica, del recupero della storia e dei disegni dell’epoca. In quest’ultima parte, sicuramente la laurea in architettura navale e la conoscenza delle lingue straniere mi sono state di grande aiuto. E questo lo dico perché i giovani spesso credono che per lavorare sugli yacht da diporto basti il libretto di navigazione, ma se vuoi uscire dai ranghi, una certa cultura è decisamente utile. Comunque un bravo comandante è tutt’uno con l’imbarcazione, la conosce alla perfezione dalla testa dell’albero al più profondo della chiglia. Io mi reputo un “marinaio”, una persona che sa vivere in mare per mesi, senza aver necessità di scendere a terra, una donna che sa fare senza alcuna qualifica specifica, qualsiasi tipo di lavoro e di intervento a bordo. Un’avaria diventa un occasione per mettersi alla prova in un ambito diverso; così so fare un po’ l’elettricista, lavoro il legno, so mettere le mani sui motori diesel, cucio le vele, impiombo cavi in acciaio, vernicio, riparo la vetroresina e smonto il compressore che ha smesso di funzionare! Un bagaglio di esperienza e di manualità che mi fa sentire libera ed indipendente come Robinson Crusoe; mi diverto molto, sempre, qualsiasi cosa nuova ci sia da fare. Pochi giorni fa ho sorpreso il tecnico della lavatrice, perché quando lui è arrivato a casa, io gli avevo già smontato tutto il motore e avevo individuato la causa del mal funzionamento; secondo me, avrà pensato di aver a che fare con "una casalinga un po’ svitata"! Questo mio percorso professionale è raccontato nel mio primo libro umoristico "Donne in mare, le avventure di una professionista della vela", edito da Mursia. Ai tempi, l’editore mi aveva chiesto un serio manuale per le donne che andavano in barca con i mariti. Io ero inorridita all’idea, perché non trovavo assolutamente differenze tra uomini e donne sull’andar per mare. Anzi, avevo anche giocato un po’ sul titolo dell’opera "donne in mare" nel senso che dopo tre anni di donne a bordo, beh, qualche volta ne avrei volentieri buttata in mare qualcuna! E leggendo il mio libro si può indovinare il perché. Non bisogna però generalizzare, perché durante la mia carriera professionale ad essere letteralmente "buttato" su una banchina di un porto commerciale è stato un uomo, un marinaio insopportabile che ho sbarcato in modo decisamente plateale con tutti i suoi bagagli!

Hai vissuto in tanti luoghi diversi e hai visto tanti posti del mondo. Quale ti è rimasto nel cuore?

Ho visto tanti posti, ma non li ho visti tutti! La prima volta che sono arrivata alle isole Azzorre, per esempio, non erano ancora sfruttate turisticamente; c’erano ancora le vecchie lance utilizzate per la caccia alla balena, abbandonate sulla riva. Molti anziani balenieri avevano una gamba o un braccio in meno e sulle colline giravano i mulini a vento. Mi sono innamorata immediatamente di quelle isole, anche se ripassandoci, di anno in anno le ho viste perdere la loro genuinità a favore della inevitabile modernità e del turismo. Stesso sentimento l’ho provato per le isole Marchesi, in Polinesia. Ogni volta che vi approdo nuovamente, trovo che hanno fatto passi da gigante verso la tecnologia e l’edilizia incontrollata, perdendo in tal modo la poesia e la magia della loro natura selvaggia. Ci siamo trovati benissimo anche in Australia, perché è talmente grande che puoi spaziare per mare e per terra con climi differenti e paesaggi mozzafiato. Io invece mi sono innamorata del Canada e dei suoi colori, ma l’inverno per noi mediterranei è terribilmente lungo. Però, gira e naviga, nessun posto è bello come il nostro Mediterraneo, dove al fascino dei luoghi si unisce la varietà del paesaggio naturale, l’architettura e un notevole bagaglio culturale e di storia! Trovo adorabili le baie della Sardegna, le isole della Grecia e l’ospitalità con cui vieni accolto nel nostro meridione.

 

 

Potresti raccontarci uno degli episodi più avventurosi della tua vita da comandante di barca a vela?

Le mie avventure e disavventure sono tutte a lieto fine. Un uomo caduto in mare e ripescato dopo ore in una notte di tempesta; un disalberamento su di una barca senza motore e con sole due persone di equipaggio, tra l’altro due donne, andato a buon fine senza assistenza esterna. Ma la navigazione più avventurosa l’ho vissuta nel nord Atlantico, a sud dei banchi di Terranova, in mezzo ai banchi di nebbia, su di una barca da regata che correva e planava alla folle velocità di trenta nodi. Le onde atlantiche che si alzavano dietro alla nostra poppa erano alte una decina di metri e l’acqua del mare che si riversava in coperta aveva una temperatura di appena cinque gradi. La notte si faceva lo slalom alla cieca in mezzo ai pezzi di iceberg alla deriva, guidati dai segnali del radar e illuminati dalle aurore boreali. Di giorno eravamo salutati da branchi di orche o di delfini che ci seguivano per qualche miglio. Indimenticabile! Oltre al paesaggio mozzafiato, c’era la sensazione di competere contro la forza della natura, piuttosto che contro le altre barche ingaggiate nella medesima regata.

Per una donna è difficile la vita in mare? Quali sono state le difficoltà maggiori contro cui hai dovuto combattere?

La vita di mare, intesa come lavoro, è una scelta difficile per tutti, uomini e donne. La lontananza dalla famiglia, e fino a qualche anno fa, l’impossibilità di comunicare con i propri cari. Se eri fortunato attraversavi l’atlantico e tramite qualche radioamatore compiacente, avevi notizie da casa. Ma la maggior parte delle barche a vela fino agli anni novanta, erano prive di strumentazione sofisticata e costosa e le comunicazioni con la famiglia le espletavi da una cabina telefonica a gettoni, quando arrivavi in un porto civilizzato. Adesso esistono ogni sorta di telefoni e di comunicazioni satellitari, che ti permettono di sentirti sempre con tutti e magari anche di vederti via internet. Essere donna mi ha permesso di giocare la carta della novità, di essere la prima a "fare proprio il comandante" e a non accettare il compromesso tipico: "Sei donna, allora vieni a cucinare o a fare le pulizie delle cabine". Certo che mi sono sentita dire di tutto, tipo: "No, mia moglie non vuole che la barca abbia un comandante donna"… Una volta è stata la signora stessa a confidarmi di preferire per "ovvie ragioni", che fosse un comandante uomo a rimanere da solo con il marito sulla barca. Di solito ho sempre usato la diplomazia, ma quella volta ho chiesto all’armatrice se avesse guardato bene suo marito, che per i miei gusti era vecchio e brutto! Un po’ per lo stesso motivo era anche difficile trovare comandanti disposti a prendermi a bordo come secondo di coperta. Io invece ho preso a bordo sia marinai uomini che marinai donne e ne sono stata sempre pienamente soddisfatta. Importante era scegliere la persona giusta, nel mio caso non ho mai guardato molto alla competenza dei miei marinai, certe cose si possono insegnare, ma all’entusiasmo e alla capacità di vivere in gruppo e in spazi ristretti. È proprio vero il detto "siamo tutti sulla stessa barca".

Cos’ha in più una donna capitano che può mancare ad un uomo?

Forse nulla. Un pizzico di senso artistico in più? Non so, credo che le donne sappiano fare i lavori da donna e quelli da uomo e quindi abbiano una visione più completa. Ma non mi piace generalizzare, ho conosciuto degli uomini con grande capacità di assolvere ad entrambe le funzioni, cosa che su di una barca grossa non guasta. Infatti il comandante deve saper pensare con disinvoltura sia all’attrezzatura tecnica più sofisticata, sia alle piccole quotidianità che su di un’imbarcazione devono essere sempre perfette: ottoni e argenti lucidi, i fiori freschi nella cabina armatoriale, il livello del gasolio sotto controllo, il bollettino meteo stampato ed accessibile. Per questa capacità che i marinai hanno di assolvere sia i compiti tecnici che quelli casalinghi, ho pensato bene di sposare un comandante, così in casa siamo intercambiabili.

Quindi siete entrambi amanti del mare! Ma come mai, dopo tanto tempo vissuto nell’oceano, avete deciso di trasferirvi in una baita isolata e sperduta in cima alle Alpi?

Mio marito ed io ci siamo trovati benissimo a terra (sulle barche è diverso perché due comandanti difficilmente possono lavorare sulla stessa imbarcazione). Amiamo gli spazi aperti, la libertà, la natura, la montagna e gli animali. Con una vita continuativa in barca ci era precluso il possesso anche di un cagnolino. Adesso abbiamo un po’ di tutto. Per noi, vivere in città in un appartamento in condominio sarebbe stato come metterci in una prigione. Ma siamo marinai e non ci bastava la casa con vista mare, magari in un paese invaso dal turismo nel mese di agosto. Così abbiamo scelto di restaurare una vecchia baita del 1800, situata a quota 1200 metri, in una valle tranquilla e dimenticata dal turismo, dove ci sono ancora le mucche al pascolo, i caprioli che fuggono nei boschi, i lupi che ululano la notte (e mangiano i caprioli!).

Vi manca la vostra vita “precedente”?

Ci mancano i lunghi viaggi esotici alla scoperta di approdi nuovi. Continuiamo però ad avere il nostro giro di barche da trasferire oltreoceano. Naturalmente avendo un figlio che va a scuola, ci assentiamo in periodi alternati e cerchiamo di non rimanere fuori casa per troppi mesi. Diciamo sempre che quando nostro figlio sarà autonomo, andremo a vivere su di una barchetta in giro per il mondo. Una barca nostra, dove poter scegliere la baia in cui fermarci o la rotta da prendere la mattina guardando solo la direzione del vento. Per adesso dobbiamo sottostare ai capricci degli armatori e nostro figlio vive con gli sci ai piedi!

Mare e montagna sono agli antipodi. Come mai hai deciso di cambiare radicalmente stile di vita?

Non sono agli antipodi. Cambia il paesaggio, ma il confronto con la forza della natura è uguale. Sei condizionato dalle stagioni e dalla meteorologia, tante piccole azioni banali diventano una prova di forza contro gli elementi. Una volta consultavo i bollettini meteo per scegliere l’approdo più riparato, adesso li controllo per stendere il bucato all’aperto o per decidere se lasciare i cavalli nel prato o metterli al riparo da una nevicata notturna.

Ma soprattutto, questa decisione è scaturita da qualche motivo in particolare?

Non si può pensare di andare per mare per tutta la vita, a rischio di diventare un orso solitario e misantropo. Ad un certo punto la voglia di farsi una famiglia ti obbliga a fare delle scelte. Le scelte le abbiamo fatte entrambi, mio marito ed io. Dovevamo organizzarci una vita gratificante, avventurosa, che ci permettesse di far crescere nostro figlio e di godercelo. Così abbiamo deciso di dividerci tra la residenza in montagna, gli animali, una piccola falegnameria e qualche mese passato per mare.

Ora di cosa ti occupi?

Mi piace lavorare il legno, creare mobili strani, originali, ispirati anche alle culture che ho conosciuto in trent’anni di navigazioni d’oltreoceano. Ho messo a frutto la mia esperienza di restauro ligneo sulle imbarcazioni e la mia laurea in architettura e mi occupo di recupero e restauro di antichi manufatti in legno e di baite in pietra.

 

 

Sei anche una scrittrice, infatti hai pubblicato sei libri. Potresti parlarci di questa tua passione per la scrittura?

Mi è sempre piaciuto raccontare le avventure di mare in modo umoristico, prendendo anche un po’ in giro la mia figura di "comandante", che a dirlo suona così altisonante, ma che in realtà a volte si tratta semplicemente di fare l’autista di un mezzo galleggiante molto ingombrante o di fare il pendolare dalla Liguria alla Sardegna. Quando navigavo avevo tanto tempo per scrivere perché la vita di bordo è scandita da turni di guardia, turni di lavoro e turni di riposo. Nei turni di guardia se hai un equipaggio fidato e c’è bel tempo, puoi leggere e scrivere tranquillamente. Adesso ho dei ritmi da urlo; mi calo contemporaneamente nel ruolo della mamma, del falegname, della casalinga, dell’agricoltore, della scrittrice, dalla cuoca, dell’allevatrice e se nevica faccio anche lo spalatore!

Cosa racconti nei tuoi libri?

Nei miei primi cinque libri si parla di mare, di barche, di luoghi esotici, di personaggi. Per esempio il secondo, "Uomini e barche" edito da Mursia, è un libro strutturato a racconti indipendenti. Ogni storia parla di una barca da me comandata e dei vecchi carpentieri, marinai o comandanti, che ho incontrato e conosciuto e che mi hanno svelato e insegnato le tecniche marinaresche dei tempi passati; per loro, quelle erano barche moderne, appena costruite, non d’epoca.

"La sfiga atlantica" Mursia, lo dice il titolo, è il racconto tragicomico di una traversata oceanica su di una barca d’epoca piena di acciacchi, del suo particolare equipaggio e della proprietaria dell’imbarcazione, una vedova gaudente, che per l’occasione ha voluto assolutamente rimanere a bordo.

È che dire di "Penne nere sul mare" edito da Magenes, che racconta la storia semi seria e assolutamente vera, di un gruppo di Alpini delle Valli di Lanzo che sono stati messi quasi a forza su di una barca a vela e trascinati in un rocambolesco giro d’Italia a tappe forzate, pur di raggiungere la località dove ci sarebbe stata l’adunata annuale. E la meteorologia li ha duramente castigati.

Il quinto libro dovrebbe far concorrenza ai vari ricettari di cucina che si trovano in commercio e si intitola "Tempesta in pentola" edito da Daniela Piazza Editore; tante avventure di mare, tempeste, onde anomale, palme e sabbia bianca. Ma di ricette appena un accenno, anche perché io notoriamente so cucinare solo risotti in pentola a pressione con il mare forza 9.

Invece la tua ultima opera di cosa tratta?

Finalmente nel sesto libro, "Naufragio in alta quota", edito da Baima Ronchetti, mi sono sganciata dalle mie avventure di mare e ho raccontato come si vive in cima a una montagna, isolati, alle prese con le difficoltà quotidiane, continuando però a ragionare da marinaio. Per esempio, quando vado in un supermercato, non faccio la spesa, faccio cambusa per una traversata oceanica; ne consegue che se rimanessimo isolati dalle neve, noi potremmo sopravvivere per dei mesi. Ma in effetti se solo volessi, del negozietto a dieci chilometri di distanza, potrei servirmene tutti i giorni. Devo fare il bucato. Mi piace stenderlo fuori, consulto dettagliati bollettini meteo e poi lo zavorro con tante mollette e pinze perché il vento non se lo porti via. Però è tutto il modo di vivere la mia nuova situazione abitativa che riflette la mia origine marinara. Ma non ti racconto di più, i curiosi devono leggere il libro! Io vivo come scrivo, cioè riesco sempre a vedere il lato comico e umoristico delle situazioni.

Da vivere in mezzo all’oceano a vivere sulla cima di una montagna, circondata da animali domestici e selvatici. Come si svolge una tua giornata?

Le giornate sono tutte sempre diverse, scandite dalle stagioni e dalle condizioni meteorologiche, un po’ come in barca! Sveglia sempre all’alba perché qualsiasi luogo, scuola, negozi, palestra, è sempre lontano da casa, chilometri! Prima di assentarsi bisogna sistemare e nutrire gli animali, se è inverno spalare la neve, stipare di legna la stufa e tutte quelle incombenze che avevano i nostri bisnonni campagnoli. Chi vive in una casa indipendente in mezzo alla natura non sta mai con le mani in mano. Come ti accasci su di una sedia e ti guardi intorno, noti pennellate di vernice da riprendere, foglie da rastrellare, cavalli da strigliare, pollai da ripulire e una famiglia affamata da rifocillare. Insomma, con questi turni forzati non so quando troverò il tempo di dedicarmi al mio prossimo libro, e poi, in quale strana altra avventura andrò ad infilarmi?

 

 

Cosa ti ha regalato questa nuova vita, che prima mancava?

La compagnia degli animali e il tempo per godermi il mio bambino prima che sfugga dalle mie effusioni affettuose! Quando ho iniziato ad andare per mare seriamente, dopo sette anni di convivenza, ho dovuto affidare il mio cagnolino meticcio ai miei genitori. Mi è mancato moltissimo. E un altro forte desiderio che avevo fin da bambina era quello di possedere un cavallo, che doveva venire a mangiare gli scarti delle verdure dalla finestra della cucina. Beh, adesso i cavalli sono nel paddock a pochi metri da casa o nei prati al pascolo, ma indubbiamente quando scappano me li ritrovo sotto il portico di casa! I miei desideri si sono quasi completamente avverati. Con nostro figlio abbiamo un sacco di attività in comune; anche lui ama gli animali, va a spasso nel bosco con i cani, ha delle uova di oca nell’incubatrice, gli piace andare a cavallo e ama praticare lo sci agonistico.

C’è qualcosa che rimpiangi del passato?

Direi che fino all’età di quarant’anni, quando ho conosciuto mio marito e ho deciso di farmi una famiglia con lui, ho vissuto tante esperienze gratificanti, ho viaggiato, ho comandato barche prestigiose, ho vinto gare e regate. Insomma ho vissuto una vita intensa, gratificante e avventurosa. Avevo l’età giusta per farlo ed ero libera da impegni e responsabilità di qualsiasi tipo. Non ho rimpianti, adesso ho girato pagina, ma ho ancora una vita piena e ricca di soddisfazioni. Ma siamo poi sicuri che la felicità derivi dal prestigio, dal riconoscimento sociale o dalle vittorie?

Se ti chiedessi come ti vedi tra 10 anni, quale sarebbe la tua risposta?

Mi vedo molto acciaccata! Umidità, lavori pesanti, intemperie… Naturalmente sto scherzando; spero che mio figlio voli presto con le sue ali e che la salute permetta a me e mio marito di navigare in giro per il mondo con la nostra barchetta. Naturalmente mi auguro che il pargolo ben allevato si prenda cura dei nostri animali durante le nostre assenze, perché vedo molto complicato far salire un cavallo sulla barca a vela!
 

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A cura di Nicole Cascione