Antonio, a Bristol lavorando per Airbus

 

Così feci domanda quasi per caso, pensando: ‘Ma figurati se prendono me…’ . Invece quello che era un sogno o più semplicemente uno dei tanti ‘mi piacerebbe un giorno…’ si era materializzato e sentivo che, di lì a breve, la mia vita sarebbe cambiata.” Ed è stato proprio così! Ormai sono 4 anni che Antonio vive a Bristol, dove lavora presso Airbus come ingegnere aeronautico. Un sistema meritocratico ed efficiente ed una grande dinamicità caratterizzano la città a sud dell’Inghilterra e a parte il clima molto uggioso, la cittadina inglese ha offerto ad Antonio una grande opportunità lavorativa e tanto tempo libero da impiegare nei suoi hobby.

 

Antonio, da quanto tempo vivi a Bristol?

 

Vivo a Bristol da 4 anni, mi sono trasferito qui a Luglio 2008. Prima ero a Pisa, dove sono nato e cresciuto. Studiavo Ingegneria Aerospaziale all’Università.

 

Ora invece che tipo di attività svolgi in terra inglese?

 

Adesso lavoro per Airbus come ingegnere aeronautico. Lavoro in un design team dei carrelli d’atterraggio, dove sono responsabile della modellazione di alcuni componenti.

 

Qual è stato il percorso che ti ha portato a lavorare all’Airbus?

 

Un giorno, durante il quinto anno di Università, un professore disse in classe che c’era la possibilità di svolgere una tesi all’estero presso Airbus UK tramite un tirocinio. Io avevo sempre sognato di fare un’esperienza di qualsiasi tipo all’estero e questa mi sembrò l’occasione ideale, perché combinava la possibilità di fare qualcosa nell’ambito dei miei studi, migliorando il mio livello di inglese e immergendomi in un ambiente internazionale, in modo da potermi confrontare con una realtà diversa ed estendere un po’ i miei orizzonti. Negli anni precedenti avevo partecipato a scambi internazionali di studenti ed ero stato in vacanze studio in Inghilterra. Sono sempre stato affascinato da questo tipo di esperienze in cui ti rendi veramente conto di quanto il tuo bagaglio culturale possa e debba essere arricchito dalla ‘contaminazione’ di altre persone e società. Così feci domanda quasi per caso, pensando: ‘Ma figurati se prendono me…’ e ‘Cosa ci vado a fare io in una grande azienda come Airbus…’, invece un giorno mi chiamarono per un colloquio telefonico. Il colloquio andò bene e mi offrirono il posto per il tirocinio di un anno. Quello che era un sogno o più semplicemente uno dei tanti ‘mi piacerebbe un giorno…’ si era materializzato e sentivo che, di lì a breve, la mia vita sarebbe cambiata.

 

E quindi?

 

Quindi al termine del tirocinio, avendo fatto una buona impressione, ebbi la possibilità di fare domanda per un posto fisso e decisero di assumermi. Feci giusto in tempo a tornare in Italia per discutere la tesi, fare un po’ di vacanze per poi iniziare il nuovo lavoro.

 

 

Cosa ti ha spinto a maturare la decisione di trasferirti?

 

Inizialmente l’intenzione era di fare solo un periodo limitato all’estero e ad essere sincero un anno di tirocinio mi sembrava già molto, ma quello che ho trovato qui dal punto di vista professionale e di crescita personale non avrebbe avuto eguali in Italia. Il programma con cui sono stato assunto prevedeva periodi di esperienza in altre sedi Airbus (sono stato tre mesi ad Amburgo) e anche un periodo di lavoro presso un cliente o un fornitore a mia scelta. Io ho scelto Air New Zealand a Auckland, in Nuova Zelanda, quindi per 5 mesi ho lavorato viaggiando tra Nuova Zelanda, Australia e Cina, il tutto supportato da Airbus. Il programma mi ha anche dato la possibilità di fare dei corsi altamente formativi e mirati alla costruzione di un elevato profilo professionale. Anche dal punto di vista del salario, sebbene sia nella media inglese, mi sento trattato molto bene, sicuramente meglio di quanto avrei potuto sperare in una azienda italiana. Per una persona che si stava appena affacciando sul mondo del lavoro credo che una migliore prospettiva fosse difficile da trovare.

 

E’ stato per scelta o per necessità?

 

Sicuramente si è trattato di una scelta, di una cosa che ho cercato, inseguito e alla fine ottenuto, ma da un certo punto di vista anche di una necessità, nel senso che il settore aeronautico/spaziale è lo sbocco naturale per gli studi che ho fatto e Airbus è il più grande costruttore di aerei civili al mondo, mentre in Italia le aziende del settore sono poche, piccole e solitamente propense verso l’aeronautica militare, che per quanto affascinante è in contrasto con la mia etica. Per mettere a frutto i miei studi ero ‘costretto’ a cercare fuori dai confini italiani.

 

Cosa ha significato per te lasciare l’Italia?

 

Lasciare l’Italia e soprattutto la mia amatissima Pisa è stato difficilissimo. Da un mese all’altro ho voltato una pagina enorme della mia vita, lasciandomi alle spalle l’esperienza di una infanzia fantastica, quasi idillica, in cui ho avuto tutto e di più. Famiglia, amici, posti, ricordi…il mio quotidiano si è trasformato improvvisamente e tutto ciò che ha contribuito a formarmi e a influenzarmi è sparito. E’ stato difficile, ma la consapevolezza di cosa andavo a trovare, unita ad una forte dose di congenito entusiasmo hanno compensato i malumori. Inoltre i moderni mezzi di comunicazione e di trasporto rendono molto semplice restare in contatto con parenti e amici. Skype e Facebook diventano un potentissimo strumento per sentirti vicino a chi è lontano (specie quando ero in Nuova Zelanda). Ricordo che il primo anno, quando tornavo a Pisa per un weekend, il lunedì mattina mia mamma accompagnava me all’aeroporto per tornare a Bristol e mia sorella alla stazione per andare a Ferrara dove lavorava…due ore dopo io la chiamavo dall’ufficio, mentre mia sorella era ancora in treno verso Bologna. In un certo senso è come se fossi più vicino io a casa di lei!

 

Conoscevi già la lingua inglese?

 

Fortunatamente sì. Mia madre insegnava inglese e già quando ero molto piccolo ebbe la lungimiranza/incoscienza di mandarmi da solo presso famiglie inglesi in vacanze studio estive. La prima volta fu quando avevo 11 anni, da quel momento in poi ogni anno, fino all’età di 18 anni. L’inglese l’ho imparato così, sul campo, piuttosto che dietro i banchi scolastici.

 

Come sei riuscito ad integrarti in una realtà molto lontana da quella italiana?

 

In realtà è stato molto semplice, da una parte per il mio carattere estroverso e la facilità con cui creo rapporti un po’ con tutti, dall’altra devo ammettere che fuori dall’Italia tutto ciò che riguarda gli stereotipi italiani suscita sempre un certo fascino. Tutti ti chiedono con un sorriso se sia vero che in Italia mangiano pasta tutti i giorni e se tutti guidano una Vespa…e poi tutti quanti alla fine ti chiedono increduli se anche tu hai votato Berlusconi… Poi chiaramente c’è il calcio, quello può essere diverso da Paese a Paese, ma lega un po’ tutti con la stessa passione.

 

 

Quali maggiori differenze noti tra gli inglesi e gli italiani?

 

Ce ne sono un’infinità, ma secondo me quella che descrive meglio l’approccio alla vita è la risposta alla domanda: ”How are you?” (Come stai) Un italiano ti risponde “I’m fine thanks, and you?” (Bene grazie, e tu?), a differenza di un inglese che 9 volte su 10 risponde “I’m not too bad” (Non sto troppo male!)

 

Cosa ti sei portato dietro della tua patria?

 

Una bella bandiera gigante di Pisa che ho appeso alla mia parete, più svariate sciarpe e magliette del Pisa. Come detto prima, il calcio è un po’ la linea di continuità tra passato e presente, la fede calcistica è la cosa che ti porti dietro indipendentemente da dove ti trovi fisicamente. In termini di cosa mi porto dentro, ho sicuramente un bagaglio di esperienze e persone fantastiche, grazie alle quali sono come sono e sono dove sono e, soprattutto, una serie di valori trasmessi dalla mia famiglia che non mi abbandoneranno mai.

 

Cosa invece hai volutamente preferito lasciarti alle spalle?

 

Tutto ciò che riguarda le questioni pratiche. In Italia è semplicemente una battaglia persa. Per fare qualsiasi cosa l’unica via è sempre la più complicata, con perdite di tempo dovute ad inefficienza ed incompetenza inimmaginabili. Qui in Inghilterra in 4 anni non mi sono mai dovuto recare in un ufficio…tutto si fa online, via mail o al massimo per telefono!!! Pagamenti di affitto, bollette, apertura di un conto corrente, richiesta per la patente, appuntamento dal dottore o dal parrucchiere. Tutto! C’è gente che fa anche la spesa al supermercato online. Ieri dovevo stampare delle foto, tutto in due minuti e due clic!

 

Ora raccontaci qualcosa di Bristol…

 

Bristol è una città incantevole…per molti la migliore in cui vivere in UK per qualità della vita. Io la trovo perfetta per le mie esigenze, perchè ha circa 430.000 abitanti, quindi non è troppo piccola ma nemmeno grande e caotica come può esserlo Londra. E’ collegata benissimo con il resto di Inghilterra ed il resto d’Europa (ho anche un bel volo diretto Bristol – Pisa che mi riporta a casa). E’ una città molto giovane e dinamica, con 2 grosse università, un polo tecnologico industriale di notevole importanza. Anche culturalmente è molto ricca, con molti musei, teatri, sale concerti, ma anche con piccoli pub con incantevole musica dal vivo. Ce n’è un po’ per tutti i gusti! Ovviamente come tutti i posti del mondo hai i suoi lati positivi e quelli negativi. Qui c’è sicuramente la possibilità di avere un’altissima qualità di vita, con servizi efficienti e affidabili, dalla raccolta differenziata porta a porta, ad una sicurezza tra le mura domestiche rassicurante. Pensa che la gente a malapena chiude a chiave la porta di casa. A me rubarono il motorino, il giorno stesso lo denunciai alla polizia, e il giorno successivo mi chiamarono dicendomi di averlo ritrovato. Di contro c’è il clima…a dire il vero autunno e inverno non sono molto diversi dall’Italia, piove e fa freddo tanto quanto a Pisa. Si cade nel tragicomico in primavera ed estate…il mese di Luglio quest’anno è stato il più piovoso dell’anno e degli ultimi anni, le belle giornate di sole estivo si contano sulla punta delle dita. E quando le mattine di agosto si svegli e ti accoglie un cielo grigiastro l’umore ne risente…

 

Cosa significa per te vivere a Bristol?

 

Vivere qui per me significa cercare di sfruttare al massimo le opportunità che la città offre, clima permettendo, e poter coniugare perfettamente le mie esigenze di lavoro con quelle del tempo libero.

 

Cosa offre in più rispetto all’Italia a livello professionale?

 

Tutto. Qui la situazione lavorativa è semplicemente idilliaca. Oltre a quanto detto prima, devo ammettere che le possibilità di sviluppi di carriera sono ottime. C’e’ molta meritocrazia e sai che se ti metti a lavorare sodo puoi raggiungere i tuoi obiettivi. Nel team in cui lavoro, il mio manager ha 33 anni ed è il capo già da 3 anni. Tutte le settimane giochiamo a calcetto insieme e spesso usciamo nel weekend. E’ venuto a trovarmi a Pisa, insieme ad altri membri del team e ancora mi prende in giro per quando all’inizio provavo a chiamarlo Mr. Frost… Diciamo che la figura del supermegadirettore di Fantozziana memoria qui è semplicemente inconcepibile.

 

 

E a livello sociale?

 

A livello sociale ci sono aspetti che non mi entusiasmano, in particolare il rapporto che gli inglesi hanno con l’alcool. Anche tra le persone ‘normali’, tra affermati professionisti e integerrimi padri di famiglia, uscire vuol dire bere. Tanto. Troppo. E’ una cosa normale, culturalmente accettata e non condannata. Tra i ragazzi è una corsa al superalcolico per risultare più ‘spigliato’ e divertirsi di più il sabato sera, ma tra gli adulti la tappa al pub significa scolarsi non meno di 3-4 pinte di birra. La cosa che più mi ha colpito è che quando le persone comprano una casa tra le cose fondamentali che guardano c’è sì la distanza da scuole, supermercati, farmacie eccetera, ma soprattutto non manca mai la menzione al pub locale, motivo di orgoglio nella posizione geografica della casa. In particolare le ragazze…senza voler fare moralismi eccessivi. Lo spettacolo che si presenta ogni fine settimana è agghiacciante, con ragazzine appena maggiorenni che vanno in giro seminude, piene di alcool in corpo, col viso nascosto da un fitto spessore di trucco, urlando sguaiatamente su tacchi altissimi che sembrano più trampoli che altro. In quei momenti rimpiango la semplice sensualità delle ragazze mediterranee…

 

Come sono i rapporti interpersonali? E’ facile coltivare nuove amicizie?

 

Gli inglesi sono molto disponibili all’approccio, fondamentalmente per la loro grandissima educazione e la loro spiccata cordialità. Tuttavia, a parte un facilissimo approccio superficiale, risulta difficilissimo entrare in confidenza. Anche una persona incontrata casualmente per strada può spendere ore a discutere del meteo (con pochissime variazioni sul tema) o dell’ultima puntata del reality show andato in onda la sera prima, ma è difficilissimo (se non impossibile) instaurare un rapporto sincero e onesto, in cui uno si confida con un amico parlando dei propri problemi o delle proprie preoccupazioni. Alla lunga si instaurano tantissimi bei rapporti, piacevoli per passare del tempo insieme, ma mai veramente profondi, non si tratta mai di vera AMICIZIA.

 

Cosa ti rimarrebbe nel cuore se un giorno dovessi lasciare Bristol?

 

La cosa che ho apprezzato di più di questa città è la dinamicità della vita di tutti i giorni. C’è sempre qualcosa da fare, qualche evento o attività o qualcuno da vedere. L’ambiente multiculturale del mio lavoro contribuisce a creare questa bella frenesia. So già che non vivrò tutta la mia vita qui, ma sono altrettanto certo che ci tornerò sempre molto volentieri. Un’altra cosa che adoro e che so già che mi mancherà, è la struttura della settimana. Noi lavoriamo 35 ore e la pausa pranzo è cortissima (45 minuti). Questo significa che arrivando a lavoro alle 8.00 posso uscire sempre alle 16.30, con ancora un terzo della giornata interamente libero. Il venerdì poi lavoro fino alle 12.00 e questo mi permette di andare via per un weekend senza dover prendere ferie.

 

Quali sono i tuoi obiettivi futuri?

 

In futuro mi piacerebbe sicuramente mettere su famiglia, possibilmente ‘multinazionale’ e poliglotta. Mi piacerebbe vivere un’altra esperienza in un altro Pese (magari Spagna o Germania) e in un futuro più o meno lontano ritornare in Italia. Perché l’Italia si può odiare, detestare, rifutare….ma alla fine non possiamo nemmeno starci lontani per troppo tempo. Con tutti i suoi difetti, le sue inefficienze, le problematiche di qualsiasi tipo, resta sempre il Paese più bello del mondo.

 

br*********@ya***.it

 

A cura di Nicole Cascione