Cercare (e forse trovare) lavoro con il Working Holiday Visa in Nuova Zelanda

Vi avviso fin dal principio: dopo l’articolo introduttivo e dopo un primo articolo breve e, ci auguriamo, piuttosto scorrevole, ora arriva un articolo che si focalizza sull’aspetto lavorativo dell’esperienza con il Working Holiday Visa. Quindi sarà un articolo più lungo e probabilmente meno interessante per molti di voi.

 

Il sito governativo “Immigration New Zealand” (www.immigration.govt.nz) illustra in maniera chiara e dettagliata le caratteristiche dei diversi tipi di visto, i requisiti e modalità per ottenerli, i costi da sostenere e le eventuali restrizioni contenute negli stessi. Per quanto concerne il Working Holiday Visa, inoltre, dedica un’intera pagina nella quale, dopo una breve introduzione sulle numerose possibilità di lavoro che offre la Nuova Zelanda, presenta un elenco diversificato di siti internet utili per la ricerca di un lavoro.

 

(www.immigration.govt.nz/migrant/stream/work/workingholiday/workopportunities).

 

Precisamente sono elencati 36 siti internet e, per qualche secondo, si ha la sensazione di non trovarsi all’interno della pagina web di un ministero statale, ma di un’agenzia turistica che si occupa della promozione della Nuova Zelanda.

 

Di conseguenza, di fronte alla facilità e velocità con cui è possibile ottenere un Working Holiday Visa, ai dati ottimistici sulla probabilità di trovare un lavoro, agli articoli che esaltano le bellezze naturali ed incontaminate della Nuova Zelanda e alle persone che descrivono i neozelandesi come un popolo estrememante cordiale, accogliente e tollerante, i dubbi che erano affiorati dentro di noi nel momento in cui avevamo maturato la decisone di lasciare l’Italia sono scomparsi e abbiamo compilato immediatamente la richiesta on line per ottenere il Working Holiday Visa. Anche quando lo abbiamo ottenuto (dopo circa 10 giorni) e fino al momento in cui non abbiamo iniziato ad essere a stretto contatto con il mercato del lavoro neozelandese, la ricerca di un lavoro non era certo l’aspetto, all’interno dell’intera esperienza che stavamo per affrontare, che ci preoccupava di più. Eravamo convinti che, grazie alle nostre competenze ed esperienze professionali, grazie al nostro discreto inglese e con un po’ di fortuna, avremmo trovato un lavoro entro un tempo ragionevole. A scanso di equivoci, teniamo a sottolineare che con questo non stiamo dicendo che pensavamo che sarebbe stato facile o che avremmo avuto un lavoro dopo 15 giorni dal nostro arrivo, anzi! Avevamo messo in preventivo, sia in termini di spese e di pazienza, che per i primi tre mesi non avremmo avuto di certo alcuna entrata economica. Inoltre, nonostante sperassimo e ci augurassimo di trovare un lavoro in campi che rispecchiassero, o quantomeno si avvicinassero, ai nostri percorsi di studio e alle nostre ultime esperienze professionali, non avevamo certo la presunzione o la stupidità di cercare e volere solo alcuni tipi di lavoro. Questo valeva in particolare per me che ho studiato Giurisprudenza, tipica laurea che ha minime possibilità di sbocchi all’estero. Insomma eravamo pronti a sudare per cercare un lavoro e diposti ad accettare qualsiasi occupazione, in particolare all’inizio.

 

 

A discapito di questo nostro atteggiamento, dopo aver trovato una sistemazione, aver esplorato un po’ Wellington, aver seguito per un mese un corso intensivo di inglese e aver richiesto ed ottenuto il numero IRD (codice personale ed identificativo ai fini fiscali) necessario per potere lavorare, ci siamo trovati di fronte ad un mercato del lavoro ostile e difficile da penetrare. In che termini?

 

Innanzittutto esite un primo grande ostacolo a cui nessun sito, blog o articolo, avente ad oggetto un’esperienza con il Working Holiday Visa in Nuova Zelanda, presta generalmente grande importanza, se non addirittura nessuna. Infatti il Working Holiday Visa per i cittadini italiani contiene la seguente restrizione: “the holder may work as part of a Working Holiday Scheme in any employment but may not work for the same employer for more than 3 months.” Vogliamo solo aprire una piccola parentesi. Prima di essere italiani, siamo europei, ma questo non rileva per quanto riguarda il Working Holiday Visa che ha caratteristiche diverse in base alla nazionalità del richiedente. Cosi’, ad esempio, un tedesco e un francese sono autorizzati a lavorare in Nuova Zelanda per lo stesso datore di lavoro per l’intera durata del Working Holiday Visa. Chiusa parentesi. Come potrete immaginare, la limitazione dei tre mesi diventa inevitabilmente un grosso svantaggio quando di tratta di cercare un lavoro: salvo casi che si possono contare sulle dita di una mano, non esistono datori di lavoro che cercano personale per un periodo di tempo cosi’ limitato. In realtà sono davvero pochi i datori di lavoro che sono a conoscenza dell’esitenza di questa postilla del diritto dell’immigrazione o che ti chiedono copia del visto. Percio’, se non sei tu che, durante il colloquio, rendi edotto il tuo potenziale datore di lavoro della limitazione contenuta nel tuo visto, lo stesso potrebbe non venirne mai a conoscenza. Siccome comportarsi in maniera onesta, e parlo per esperienza personale, implica perdere ogni chance di ottenere il lavoro per cui ci si è candidati, consiglio di non entrare nel dettaglio delle caratteristiche del Working Holiday Visa italiano e di omettere di evidenziare la restrizione dello stesso. Così se sarete assunti, avrete la possibilità di decidere se licenziarvi allo scadere dei tre mesi rispettando diligentemente quanto riportato nel vostro visto, o se, al contrario preferite tenervi il lavoro con il rischio di dovere pagare le conseguenze che questo potrebbe comportare.

 

La maggior parte degli italiani che ho conosciuto, ha scelto la seconda strada. Inoltre la restrizione dei tre mesi sembra rientrare nella categoria delle norme che contengono un divieto, ma che non disciplinano le conseguenze e le sanzioni in caso di violazione dello stesso. Noi non siamo ancora riusciti a trovare nessun sito, nessun blog o nessuna persona cha sappia darci una risposta sul punto. Pertanto se qualcuno di voi dovesse essere un esperto del diritto dell’immigrazione neozelandese o, in ogni caso, conoscere la riposta, lo invitiamo a contattarci.

 

Un’altra grande difficoltà è data dal fatto che la Nuova Zelanda, come ben sapete, ha un numero di abitanti estremamente basso. Di conseguenza, a fronte di bisogni limitati da soddisfare, anche i posti di lavoro sono limitate, persino per gli stessi neozelandesi, molti dei quali si trasferiscono, o cercano di trasferirsi, nella vicina Australia che offre stipendi più elevati. Inoltre tra le varie offerte di lavoro che si possono incontrare, il part-time è quello che è presente più di frequente, in particolare quando si tratta di lavori meno qualificati (quindi quelli inizialmente e intensamente ricercati da coloro che atterrano su quest’isola con il Working Holiday Visa). Considerando che, nella quasi totalità dei casi, la paga non va oltre a quella minima imposta per legge ($13,75/all’ora), con un lavoro part-time diventa complicato anche solo riuscire a pagare le spese di vitto ed alloggio settimanali. Inoltre l’etichetta che viene attribuita ai neozelandesi, e che loro stessi amano attribursi, secondo cui sono un popolo tollerante, aperto ed estremamente cortese, risulta essere alquanto fuorviante. La tolleranza, l’apertura e la cortesia che li contraddistinguono sono riservate principalmente ai turisti e viaggiatori. Quando si tratta del mondo del lavoro, invece, diventano freddi, chiusi e distaccati. Ma vi è di più. Nonostante Wellington sia la capitale e la seconda città più grande della Nuova Zelanda, la possibilità di ottenere un lavoro è direttamente proporzionale al numero di persone che conosci e ai contatti che riesci a crearti. Questo è stato uno degli aspetti che ci ha maggiormente delusi: abbiamo lasciato l’Italia dove la raccomandazione e i “sono amico di” erano all’ordine del giorno per trovare in uno stato dove vige un principio simile.

 

Infine qualsiasi annuncio di lavoro sembra richiedere competenze esagerate ed esperienze pluriennali, anche per una posizione generica di barista e lavapiatti. Attenzione! Non è nostra intenzione denigrare questi mestieri: mio padre è un gelataio ed io ho lavorato per anni come cameriera in bar e gelaterie. Voglio solamente dire che non credo siano mestieri in cui faccia davvero la differenza il numero di anni d’esperienza. Ma qui anche preparare un caffè (ovviamente secondo i loro standard!) sembra essere un’operazione che può riuscire bene solo dopo una profonda e lunga relazione con la macchina del caffè, preferibilmente preceduta da uno specifico corso pratico-teorico. E secondo alcuni datori di lavoro, anche la persona che si candida per una posizione da lavapiatti deve presentare, oltre al proprio curriculum vitae, una lettera motivazionale. Saremo proprio curiosi di sapere quale possano essere le motivazioni e le profonde ragioni che spingono qualcuno a scegliere il mestiere del lavapiatti, a parte la necessità di avere uno stipendio.

 

Se a tutto ciò aggiungete il fatto che a parità di curriculum vitae, ci sarà qualcuno, per utilizzare un eufemismo, che sa l’inglese molto meglio di voi [n.d.r. altri neozelandesi, inglesi, americani, tedeschi, olandesi], allora non vi stupirete se vi diciamo che cercare – e forse trovare – lavoro a Wellington potrebbe diventare frustrante.

 

Willy ed Irene

Per saperne di più su Willy ed Irene potete dare un’occhiata al loro blog: www.feetprint.it