Londra in bicicletta, nudi però

 

 

Andare in bici a Londra è una guerra. Un tutto contro tutti senza esclusione di colpi, dove bisogna affrontare un’infinità di nemici. Il senso di marcia invertito, innanzitutto; le piste ciclabili, che in realtà sono solo effimere corsie pitturate per terra che nessuno bada; così come le auto, i bus, i taxi, le moto, i pedoni e soprattutto gli altri ciclisti.

 

Proprio loro, che dovrebbero essere i più solidali, in realtà sono la fonte principale di disagio. Corrono, velocissimi. Ti superano a sinistra, a destra, si lamentano se fai da tappo. Qui i principianti pagano dazio, perché tutti gli altri sono dei caccia da combattimento. Tutti iper-atletici. Polpacci che scoppiano, cosce come pistoni. Se sei un ciclista a Londra per più di qualche mese diventi un super-uomo, secondo me. Devi stare al ritmo, devi accettare la sfida e competere nella grande gara. Il mio coinquilino, ben più tarato sui ritmi londinesi, torna a casa ogni sera sudato perché «ho sfidato uno motorino, mi ha fregato solo all’ultimo in un rettilineo, ma gli sono stato davanti quasi tutto il resto del tempo». Follia, mi dico e gli dico. Perché tutto ciò avviene in una città trafficatissima, piena di strade e stradine, semafori e rotonde e pullulante di pedoni molto spesso non diversi da puri birilli sacrificali. La soglia di attenzione deve essere altissima, i sensi tutti perfettamente attivi e i tempi di reazioni minimi. È una guerra appunto, dove lo stress si accumula a colpi di un paio di miglia alla volta da lunedì mattina in poi. Eppure tutti sembrano uscirne più che bene. Come diavolo fanno, mi sono chiesto? Le risposte che ho trovato sono tantissime (e molte c’entrano con le pinte di birra del venerdì sera) ma la migliore l’ho trovata sabato scorso.

 

Sabato 8 Giugno. Sono sotto il Wellington Arch, esattamente fuori uno degli ingressi di Hyde Park. C’è il sole ed è proprio una bel pomeriggio di prima estate. Sono in bici, giustamente, ma in questo momento mi sono fermato ad aspettare. Con me un numeroso gruppo di altri sconosciuti, tutti appostati e pronti a godersi lo spettacolo. «Scusami, ma cosa state aspettando tutti?» mi chiede un turista francese. Ma ovvio, «un gruppo di ciclisti…nudi» rispondo; e qui è il capolinea della loro lunga corsa per le vie della città. È, infatti, il giorno della World Naked Bike Ride, una corsa che si tiene in numerose città del mondo ogni anno e la cui caratteristica principale è, appunto, la nudità dei suoi partecipanti. Dopo averne letto la notizia qualche giorno fa, ho deciso di andarla a vedere un po’ a scatola chiusa, senza capire esattamente quale, tra le 50 sfumature di nudo, fosse applicata. Quando il gruppo, formato almeno da 300 persone, arriva — capisco. Nudi significa nudi 100%, almeno per una buona parte di loro. Altri sono in mutande, alcuni sono mimetizzati con qualche leggero strato di bodypainting o con maschere, adesivi e accessori. «In Inghilterra non è un reato girare nudi e in qualsiasi giorno dell’anno potete entrare nudi persino da Mc Donald’s, ma preferibilmente non oggi per non arrecare danni alla corsa» spiegano gli organizzatori. Tra i partecipanti non c’è una precisa e comune motivazione che li abbia spinti a spogliarsi e pedalare, nonostante una fiscalissima organizzazione del percorso e del comportamento e un rispetto molto devoto delle regole prestabilite. Di fondo, la corsa ha come scopo quello di sensibilizzare la popolazione riguardo i temi della sicurezza stradale («tu che guidi un auto.. ora mi vedi?» ha scritto sulla schiena uno dei tanti nudi) e l’ecologismo («pedalare in rosa è molto verde» si legge sul petto di un’altra ragazza); ma in realtà vi si partecipa per le motivazioni più disparate. Vecchi sensantottini ultimi baluardi della cultura naturalista, ragazzini che hanno perso una scommessa, ecologisti radicali, amici che vogliono provare una nuova esperienza, coppie giovani a cui piace l’ebrezza della competizione, coppie anziane decisamente fuori dagli schemi, fustoni esibizionisti che devono mettere in mostra il fisico, eroi del piercing che hanno finalmente l’occasione di sfoggiare i loro gioielli attaccati nei punti più impensabili, ma soprattutto gente che vuole sentirsi… libera e spensierata. Tutti se la ridono, centinaia di persone li fotografano e loro si divertono ancora di più, correndo in giro e chiedendo di farsi fotografare vicino agli spettatori imbarazzati. Si distendono sul prato, si aprono una bottiglia di sidro o una lattina di birra e si rilassano. Sono quelli vestiti che in questo spiazzo di Londra si sentono a disagio oggi.

 

La World Naked Bike Ride non è una protesta, credo. È un po’ una reazione al continuo stress quotidiano, un modo radicale, leggermente folle, di staccare la spina. Certo, non fa per tutti e non mi sono ancora convinto a togliermi la maglietta. Ma a quanto pare anche questo, oltre le birre al pub o le passeggiate al parco, è un valido modo per vincere la guerra del ciclismo londinese.

 

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Di Nicolas Lozito

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