Nicoletta, insegnante a Bangkok

 

Da quando sono arrivata, ho già ricevuto quattro proposte di lavoro senza nemmeno andarle a cercare. Incredibile! Il mio compagno è stato preso al primo cv che ha mandato. In Italia ci siamo sempre sentiti sottovalutati, nonostante le competenze, gli studi e l’esperienza. Quando siamo arrivati qua, ci siamo resi conto che siamo ‘super-selezionati’ da anni di tribolazioni nel mercato del lavoro italiano e che se non abbiamo trovato il nostro posto non è colpa nostra, ma della situazione in cui versa il Paese”.

 

Leggere queste parole, rende ancora più frustrante la situazione di tutti i giovani che vivono, costretti o meno, la loro vita in Italia, e regalano speranza a tutti coloro che invece stanno programmando un allontanamento dalla propria terra. Questa è la storia di Nicoletta e Roberto, due ragazzi come tanti che hanno dovuto abbandonare i propri affetti e portare la propria esperienza e la propria professionalità all’estero, per potersi realizzare professionalmente.

 

Nicoletta chi eri prima di arrivare a Bangkok?

 

Ero una semplice insegnante di inglese a Torino, costretta a convivere con le numerose difficoltà causate dallo stato in cui versa l’istruzione, pubblica e privata, nel nostro Paese.

 

Quando è avvenuto questo trasferimento? E’ stato dettato da qualche motivo particolare?

 

Il mio è un trasferimento piuttosto recente: ottobre 2012. E’ stato dettato dal grande desiderio di realizzazione nel mio lavoro, realizzazione quasi del tutto preclusa in Italia. Fortunatamente Roberto, il mio compagno, mi ha incoraggiata e seguita. Non sono una persona molto ambiziosa, desiderio fare appunto l’insegnante, non l’astronauta. In questo momento sento il bisogno di fare il mio mestiere con serenità e vivere qui, adesso, me lo permette.

 

 

Un trasferimento comporta sempre dei notevoli cambiamenti, affrontati con un certo timore….

 

Il nostro unico timore era, ed è tutt’ora, la consapevolezza di sapere ciò che abbiamo lasciato, ma di non sapere cosa troveremo al nostro ritorno. Lavoravamo entrambi come freelance in Italia e quindi, soprattutto nel lavoro di Roberto, tutta la parte di accounting dei lavori era costruita sulle relazioni interpersonali coltivate negli anni e sul principio per il quale tutti sono utili, ma nessuno è indispensabile.

 

Partire, lasciare gli amici, gli affetti…Quanto ha influito tutto questo sulla tua vita attuale?

 

Noi ci consideriamo una piccola famiglia di due persone. Ci abbiamo pensato molto, per anni a dire il vero, poiché avevamo già provato a trasferirci in Thailandia circa 3 anni fa, quasi per scherzo, ma non avevo ottenuto il lavoro. Non abbiamo mai smesso veramente di pensarci. Abbiamo valutato diverse ipotesi e svariati posti e alla fine siamo finiti qui. L’affetto degli amici più cari e dei parenti mi manca TUTTI I GIORNI, ma per fortuna ci sono Skype, Whatsapp, Viber, Google talk, Facebook… E poi non è per sempre! Prima o poi torneremo. E poi con tutte le offerte sui voli che ci sono state, sono già venuti a trovarci una ventina di persone! Ovviamente sono venuti un po’ per vedere noi, un po’ per il posto…

 

Quindi il vostro trasferimento non è definitivo, giusto?

 

Assolutamente sì. Viviamo questo come un momento transitorio, ma siamo partiti con la mente aperta a qualsiasi stimolo, idea… Quindi, chi lo sa cosa riserva il futuro?

 

 

Al tuo arrivo cosa ti ha colpito del posto? Cosa non dimenticherai mai?

 

A dire il vero eravamo già stati in Thailandia 4 anni e mezzo fa. Posso parlarti di quell’esperienza. Il mio primo ricordo è stato l’odore diverso e l’umidità dell’aria nell’istante in cui siamo usciti dall’aeroporto: era la stagione dei monsoni! Ma non era la mia prima volta in Asia. Ho studiato cinese e sono stata parecchio tempo in Cina. Ma è stata la prima volta per Roberto: era assolutamente frastornato, scioccato e felice!

 

Di cosa ti occupi?

 

Insegno inglese in un’università internazionale di Bangkok. Nella fattispecie lettura e scrittura accademica. Tutte le lezioni, di tutte le facoltà, di qualsiasi materia sono tenute in inglese, quindi gli studenti devono avere un livello d’inglese adeguato per potersi laureare ed essere competitivi sul mercato internazionale. L’insegnamento dell’inglese è una cosa su cui la Thailandia sta puntando molto, soprattutto per restare al passo con le altre nazioni dell’ASEAN.

 

Come sei riuscita a trovare l’attuale lavoro? Hai dovuto sostenere dei colloqui di lavoro o era già tutto pianificato ancor prima della partenza?

 

Sara, una mia cara amica e compagna di università (che non finirò mai di ringraziare) e il fidanzato inglese, lavoravano già in questa università, anche se ora hanno preso un anno di aspettativa. Lei mi ha suggerito quando inviare il mio CV. Ho fatto tutta la trafila dei colloqui dall’Italia, grazie a Skype e ho firmato la lettera d’incarico via internet. La lettera mi è servita per inoltrare la domanda per il visto lavorativo, che poi è stato trasformato in permesso di soggiorno. Le leggi sui visti sono molto severe. C’è tantissima burocrazia in entrambi i Paesi: non è stato semplice.

 

Al principio hai incontrato molti ostacoli dal punto di vista culturale? C’è qualche episodio particolare che vorresti raccontarci?

 

Bangkok è una metropoli internazionale e ci vivono moltissimi stranieri di ogni provenienza. Il mestiere d’insegnante è ritenuto prestigioso, non come in Italia. Non è un lavoro molto pagato, ma il rispetto degli altri e in particolare degli studenti è molto appagante. Per quanto riguarda l’inserimento, la verità è che bisogna parlare thai se si vuole davvero vivere qui, per comunicare con la gente del posto e per capire a fondo la cultura. Finora sono stata negligente e non mi sono ancora impegnata a fondo, ma lo farò dall’inizio del prossimo semestre. Promesso! Per quanto riguarda qualche episodio particolare, non me ne viene in mente nessuno. Non penso di aver fatto delle figuracce. I Thai sono molto pazienti con gli stranieri e sono abituati a vederne di cotte e di crude, perché lo standard di turisti che c’è qui è abbastanza particolare. Non aggiungo altro, preferisco sorvolare. Mi dispiace solo di essere accomunata a certi personaggi solo perché sono farang (straniero di razza caucasica) anch’io.

 

 

Insieme al tuo compagno, che è un videomaker, avete creato il blog http://greenwichplus7.wordpress.com. Che argomenti vengono trattati nel blog e come è nata quest’idea?

 

L’idea è nata perché, appena siamo arrivati, Roberto e io ci siamo sentiti stimolati da tutte le novità che avevamo intorno e andavamo in giro senza sosta, come dei pazzi. Lui ovviamente con la sua inseparabile camera Canon, perché ha il tarlo del mestiere, io perché sono curiosa nel DNA e sono malata di social network. I nostri amici in Italia continuavano a chiederci novità e racconti, così sono riuscita a convincere Roberto a “esternare”. Il nostro blog è un video-blog di osservazione, senza intenti di inchiesta, ma solo il desiderio di fare vedere agli altri quello che vediamo qui attraverso i nostri occhi. Stiamo cercando di creare una rete con altri video maker e blogger con cui condividiamo idee e argomenti. Devo confessare che all’inizio era più facile perché avevamo più tempo. Ora lo è un po’ di meno, tra il lavoro e la vita sociale. Ma ci siamo presi l’impegno e ci stiamo investendo energie! Stiamo cercando di ampliare il progetto creando un network con altri video maker che condividano le nostre tematiche, soprattutto quelle ambientali.

 

Mi hai raccontato che a breve sul vostro blog inaugurerete una rubrica settimanale sui lavori un po’ “strani” che svolge la gente in Thailandia. La cosa mi ha molto incuriosita, potresti anticiparci qualcosa?

 

L’idea è quella di fare dei brevi video a persone che svolgono dei lavori interessanti perché inesistenti da noi o perché, pur essendoci, sono fatti in condizioni completamente diverse. Per esempio, il primo video che posteremo sarà su un uomo che muove un “ponte” per attraversare un canale dietro casa nostra, con un sistema curioso fatto di carrucole che lui governa pedalando. E’ più difficile da spiegare che da vedere… Seguiteci!

 

A proposito di lavoro, com’è il mercato thailandese? Ci sono possibilità maggiori rispetto a quelle che si possono trovare qui in Italia?

 

Ci sono delle ottime possibilità per chi vuole insegnare inglese (pochissime per l’italiano, lo spagnolo, di più per il francese). Se non si è madrelingua, sono però richiesti anche una laurea specifica (meglio una laurea quinquennale o vecchio ordinamento perché di solito pagano meglio), esperienza nell’insegnamento e nella gestione di una classe, oltre ovviamente ad un alto livello d’inglese, perché bisogna costantemente competere con i madrelingua, che sono davvero moltissimi. Questo discorso dell’inglese vale per ogni lavoro. In generale, si sente che c’è molto fermento. Ci sono moltissime multinazionali, quindi penso che anche in ambito customer care, ci siano possibilità e vedo sempre molti annunci di lavoro per grafici. Penso che i grafici italiani verrebbero molto apprezzati qui. Gli italiani vengono ancora considerati interessanti o almeno “neutri”, non ci sono ancora pregiudizi, almeno non a Bangkok. A chiunque voglia provare, consiglio però di cercare già dall’Italia, perché è altamente sconsigliato lavorare in nero, inoltre stare qui senza lavorare può essere rischioso per il portafoglio. L’altra soluzione è aprire un’attività, ma bisogna avere un partner Thai che detenga il 51%. Di solito chi lo fa è perché ha una moglie Thai. Anche se, comunque ci sono varie leggi da rispettare su cui non voglio dilungarmi. Per fortuna ci sono società d’intermediazione fondate da italiani che aiutano con le scartoffie.

 

Nel tuo caso specifico, quindi all’interno del mondo universitario, hai notato diversità dal punto di vista professionale?

 

Sì, come dicevo sopra, c’è molto rispetto da parte degli studenti, colleghi e anche dei superiori. Non ci sono i “baroni”, i miei capi avranno al massimo 50 anni. Ho dei colleghi ben più giovani di me e questo è già una differenza. Si lavora in un clima rilassato e si viene messi in tutto e per tutto nella posizione ideale per pensare solo al proprio lavoro e basta. Un grande cambiamento dall’essere freelance! Non sono stata mai così soddisfatta dal punto di vista professionale.

 

 

E per quanto riguarda l’ Università, che differenze ci sono tra quella thailandese e quella italiana?

Posso parlare della mia università che però è internazionale, quindi non so quanto rispetti la classica università Thai, di cui non so nulla. Come in quasi tutti i Paesi del mondo, tranne l’Italia, gli studenti cominciano l’università a 18 anni. Sono quindi più giovani, a quell’età anche un anno fa la differenza. Quest’università è piccola perché ci saranno circa 20.000-30.000 iscritti. Ce n’è una statale di fianco che ne ha 200.000: è come una città. Un’altra sensazione che ho avuto è che ci sia più contatto, inter-scambio con il mondo del lavoro. Non sono ancora in grado di fare confronti più approfonditi purtroppo. Richiedimelo tra altri 6 mesi!

 

Sul posto invece, cosa ci racconti?

 

Sto riuscendo a ricostruire quella situazione di quartiere che amo: la mia lavanderia, il mio negozio sotto casa, il mio bar, il fruttivendolo, il caffè sempre al solito posto. Viviamo in una zona che, al di fuori delle università, è un quartiere molto Thai. Quello che voglio dire è che tutti gli stranieri che ci sono qui sono studenti o insegnanti, ma non turisti. Quindi non c’è tanto senso di precarietà, tipico delle città molto turistiche. E’ questo è già una gran cosa. Non è in centro, ma è in centro… Bangkok è enorme o comunque c’è un traffico delirante quindi se ti muovi nelle ore sbagliate via terra sei fregato. Per fortuna in città ci sono metro (MRT), skytrain (BTS), bus efficientissimi e ci si muove anche molto sull’acqua, tra i canali e il Chao Praya, che è il grosso fiume navigabile di Bangkok. Se si lavora per un’azienda locale, gli stipendi sono generalmente più bassi che in Italia, ma non ci sono i prezzi della follia come da noi! Si mangia sempre fuori (letteralmente: molte case non hanno neanche la cucina) perché costa meno che fare la spesa. Gli affitti non costano pochissimo, dipende ovviamente dalla zona e da quanto è nuovo lo stabile, oscillano tra i 200 e i 500 euro per un monolocale. Diciamo che, se si è accorti, si arriva alla fine del mese e la qualità della vita è comunque più alta che in Italia. In un posto come questo per fortuna ci sono tutti gli standard: si può risparmiare davvero, ma si riesce a spendere anche tantissimo, soprattutto se si sta in giro senza fare niente, perché qui c’è TUTTO. Parlo per esperienza personale: i weekend sono deleteri, tra divertimenti, gite, musei, cinema e shopping. Se si esce dalla metropoli, ovviamente, tutto costa molto meno, specialmente al nord. Invece nei posti molto turistici e famosi (vedi Pukhet) può costare persino di più.

 

Secondo te cosa possiede la Thailandia che all’Italia manca?

 

A parte le ovvietà come il clima, da considerare comunque se si valutano la qualità della vita e la riduzione dei costi, mi sembra che la gente, adesso come adesso, sia più serena e decisamente meno stressata, anche in città. Nessuno ha fretta, nessuno corre. E’ una Paese in espansione economica, con una posizione favolosa nel sud-est asiatico, un hub di collegamento con le nazioni vicine. C’è molto fermento e si sente. Da quando sono arrivata, ho già ricevuto quattro proposte di lavoro senza nemmeno andarle a cercare. Incredibile! Il mio compagno è stato preso al primo cv che ha mandato. In Italia ci siamo sempre sentiti sottovalutati, nonostante le competenze, gli studi e l’esperienza. Quando siamo arrivati qua, ci siamo resi conto che siamo “super-selezionati” da anni di tribolazioni nel mercato del lavoro italiano e che se non abbiamo trovato il nostro posto non è colpa nostra, ma della situazione in cui versa il Paese. Quindi dico: avanti italiani! Non esitate! Emigrate! Ovunque andrete sarete più apprezzati. Non sentitevi insicuri, avete sicuramente mille marce in più di tanti altri popoli sulla Terra.

 

Cosa ne pensi della tua nuova vita all’estero?

 

Per ora siamo molto soddisfatti e sereni. Spero duri. Mi mancano molto i miei amici e alcune cose di Torino, soprattutto il fatto di poter decidere all’ultimo di uscire e scendere sotto per un’oretta a bere un bicchiere di vino (oh! Il vino!). Qui usciamo molto meno in settimana: facciamo molto sport la sera, perché c’è un complesso sportivo favoloso nelle vicinanze, tutti corrono, fanno mille sport ed è molto stimolante. Nel weekend, al contrario, stiamo fuori per ore e ore: con il tempo che si impiega per spostarsi non vale la pena stare fuori per poco, per cui quando usciamo di sera torniamo sempre tardissimo.

 

Una conclusione sulla tua esperienza in Thailandia:

 

Ora stiamo bene dove stiamo. Quando non ci andrà più bene, cercheremo di cambiare la nostra situazione, come abbiamo sempre fatto. Invito tutti a cercare di sfruttare i lati positivi della mobilità lavorativa e della globalizzazione e non di subirli soltanto!

 

ni******@ya***.it

gr************@gm***.com

 

 

A cura di Nicole Cascione

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